Sumaya Abdel Qader, 38 anni, è nata a Perugia da genitori giordani. Dallo scorso giugno è consigliera comunale del Pd a Palazzo Marino. Martedì sarà a Roma alla manifestazione nazionale indetta dalle associazioni per chiedere che il Senato approvi subito la legge sulla cittadinanza licenziata dalla Camera il 15 ottobre 2015.

E’ certo che a Palazzo Madama nessuno si affretterà ad approvare la legge prima della fine della legislatura. Non è scandaloso che per la politica sia sconveniente una legge che garantisce a 800mila ragazzi nati in Italia di diventare davvero italiani?

Direi di sì. Il tema non è nuovo, se ne parla da anni. I figli degli immigrati ormai sono alla terza generazione, non possiamo sottrarci all’urgenza di approvare questa legge e di garantire ai giovani una stabilità e un riconoscimento che serve a rinforzare le loro aspettative per il futuro. Sentire di appartenere al proprio paese non è una questione burocratica.

La Lega contro questa legge imposterà mesi di campagna elettorale e il suo partito, il Pd, non sembra intenzionato a dare battaglia. Si sa che al suo interno ci sono resistenze. La cosa non la imbarazza?

Nel partito c’è una discussione aperta, ma la maggioranza del Pd condivide il principio che ispira questa legge. Fa parte della normale dialettica avere opinioni diverse, c’è chi preferirebbe legare questa legge a un percorso più incentrato sullo “ius culturae”, è chiaro che alcune persone hanno bisogno di più tempo per ragionare sull’integrazione.

Martedì prossimo a Roma si terrà la manifestazione nazionale per chiedere l’approvazione della riforma sulla cittadinanza. Ci andrà?

Stiamo organizzando il viaggio, questa battaglia per la cittadinanza va avanti da mesi, abbiamo sperimentato molte relazioni, non è sostenuta solo dai figli degli immigrati, con noi ci sono le associazioni e il terzo settore, è un movimento che esprime una nuova visione del mondo.

Dopo cinque anni di giunta arancione e tante promesse, Milano non ha ancora una moschea mentre la Regione Lombardia continua ad inventarsi vincoli urbanistici per impedire la costruzione di luoghi di culto. A che punto siamo con l’amministrazione di Sala?

Abbiamo intrapreso i passi necessari per seguire le leggi vigenti che sono molto restrittive, ci vorrà un anno per ultimare il Piano delle attrezzature religiose (Par). Le associazioni contattate devono segnalare gli spazi adatti ad ospitare luoghi di culto in base alle norme urbanistiche imposte dalla Regione Lombardia. Sarà dura, perché i vincoli sono strumentali e non sarà facile per il Comune aprire un tavolo di confronto con i leghisti. Molte realtà religiose prepareranno ricorsi al Tar, la strada è in salita.

Esce un film tratto dal suo libro “Porto il velo, adoro i Queen”. Come si concilia il velo con il rock’n’roll?

Il titolo è uguale ma il documentario non parla del mio libro, sono tre interviste che affrontano i temi della cittadinanza a partire da storie personali, la mia, quella di una fumettista tunisina e di una psichiatra siriana. Perché mai non dovrebbe conciliarsi il velo con il rock? Ognuno di noi ha più dimensioni, una spirituale e una più terrena, e a me piace il rock. Non c’è niente di strano.

E il velo che porta come si concilia con il suo impegno per i diritti delle donne e contro le discriminazioni di genere?

Io vivo, faccio cose nel rispetto di valori universali e non penso al velo, quello lo vedono gli altri. La mia vita dice che non si tratta di un impedimento, ho studiato, mi sono sposata, ho fatto carriera, ho dei figli. Io non sono certo un’eccezione, così siamo in tante.

L’assessore Majorino (Pd) ha detto che vorrebbe organizzare a Milano una manifestazione antirazzista come è accaduto a Barcellona. La città le sembra pronta per dirsi così accogliente con i migranti?

Credo che Milano su questi temi sia in controtendenza rispetto alle altre città italiane, soprattutto con Roma. Spesso ha dimostrato di saper accogliere mobilitando risorse straordinarie, come è accaduto per i profughi alla caserma Montello. L’idea della manifestazione è importante perché la città deve sentirsi coinvolta in questo processo di inclusione.

Fra non molto sarà il 25 aprile, e le chiederanno se sarà disposta a manifestare insieme alla comunità ebraica. Ha già pronta la risposta?

Nessun problema. Mi piace sfilare con tutti gli italiani che hanno lottato per liberare il nostro paese, che siano di una religione o di un’altra.