Il mondo guarda all’India; se il nostro paese troverà soluzioni, con risorse limitate, saranno utili anche altrove. E’ chiaro infatti che anche qualora si riuscisse – con attività di mitigazione – a limitare il riscaldamento globale entro gli 1,5°C rispetto all’era preindustriale, le ondate di calore soprattutto nelle città sono qui per rimanere», ha detto l’urbanista Avikal Somvanshi, ricercatore dell’istituto indiano Centre for Science and Environment (Cse), presentando un recentissimo rapporto sull’evoluzione, dal 2001 a oggi, dello stress termico in sei mega-città della Federazione, secondo fonti ufficiali.

«ANATOMY OF AN INFERNO. Decoding urban heat stress in Indian Cities» si intitola il rapporto dell’Urban Lab del Cse. Il centro ha sede a Delhi, una delle città che sta vivendo un’estate infernale, con temperature che hanno superato i 50°C. Là, come a Mumbai, Kolkata, Hyderabad, Bengaluru e Chennai (megalopoli situate in aree climatiche diverse), l’aumentata umidità dell’aria aggiunge gradi allo stress del calore, tanto da rendere i luoghi invivibili e pericolosi. Il Centre for Holistic Development India ha registrato, solo fra l’11 e il 19 giugno, ben 192 morti fra i senzatetto. Che non sono certo gli unici a soccombere ai colpi di calore. A maggio è stata ordinata la chiusura anticipata delle scuole. Le elezioni sono state una prova ardua (fra l’altro, malgrado le condizioni estreme, nessuna delle coalizioni in gara ha pensato di offrire impegni per il contrasto ai cambiamenti climatici). Famiglie, conducenti di risciò a pedali, lavoratori manuali, si dicono allo stremo, nell’incapacità di trovare riposo la notte perché – ed è una delle novità rilevate dalla ricerca – dopo il tramonto la temperatura scende meno rispetto al passato. L’Indian Express ha dedicato un video agli uccelli e ai pipistrelli piombati al suolo e ai volontari che distribuiscono frutta a branchi di piccole scimmie.

GIA’ NEL 2021, il Sesto rapporto di valutazione dell’Ipcc (Gruppo intergovernativo di ricerca sui cambiamenti climatici) aveva indicato l’India fra i paesi destinati a subire ondate di calore sempre più frequenti e intense, insieme ad altre calamità conseguenti al caos climatico, con pesanti ripercussioni economiche, sociali e sanitarie. Ad alto rischio, del resto, è la situazione urbana di quasi tutta l’Asia, anche a causa dell’assenza di pianificazione, del rapido cambiamento nell’uso dei suoli, della grande presenza di insediamenti informali (abitati da mezzo miliardo di persone).

IL RAPPORTO DEL CSE si misura specificamente con l’ondata di calore senza precedenti di questi mesi del 2024. Studia l’evoluzione nei decenni di diversi parametri: la temperatura dell’aria e la temperatura al suolo, il trend giorno e notte, l’umidità relativa. Essendo aumentata, quest’ultima ha peggiorato la situazione nelle zone caldo-umide ma anche nelle città, come Delhi e Hyderabad, che pure appartengono ad aree climatiche tendenzialmente secche. La combinazione fra temperature elevate e umidità può compromettere il meccanismo naturale di raffreddamento del corpo, con l’evaporazione del sudore. Lo stress termico, poi, è un problema intersettoriale: oltre alla salute umana, vanno in sofferenza per esempio linee di trasmissione e trasformatori.

QUANTO ALLE CAUSE, il riscaldamento globale è uno dei fattori. Ma gli altri sono locali. Generano calore le superfici asfaltate, i veicoli a combustione interna, le industrie, gli stessi condizionatori sempre più diffusi (con il tipico effetto a circolo vizioso). Inoltre il calore viene intrappolato dal cemento e fra i palazzi così vicini non c’è ventilazione; anche il materiale dei tetti e dei muri è un fattore importante nel calore indoor. E la vegetazione in città è sacrificata.

IL VERDE URBANO, importantissimo nel mitigare la temperatura di giorno, e presente in città come Delhi, non riesce tuttavia a mitigare l’afa notturna, cresciuta negli anni in tutte le città analizzate. Di giorno l’infrastruttura urbana intrappola il caldo, che non riesce poi a disperdersi in alto, trattenuto com’è dalla cappa di inquinamento. Ma le notti calde sono ancora più pericolose in termini di patologie e mortalità, faceva rilevare uno studio apparso su Lancet Planetary Health pochi anni fa.

QUANTO ALLE AREE RURALI, spiega il Cse, «hanno temperature un po’ meno elevate, perché mancano i fattori generatori di calore in città e la vegetazione aiuta; ma in compenso spesso non hanno servizi come l’energia elettrica in grado di offrire parziale refrigerio. Inoltre, si costruisce sempre più con il cemento».

E DUNQUE CHE FARE, per proteggere la salute e alla fine la stessa possibilità di lavorare, oltre che le infrastrutture essenziali? Il Cse puntualizza che non si parla di mitigazione della crisi climatica, ma di interventi strutturali (oltre a quelli emergenziali e al monitoraggio a tutto campo) per la mitigazione del calore intrappolato. Per migliorare il microclima non c’è un singolo silver bullet, occorrono piani di gestione, «risposte olistiche». Da un lato, prendere di mira i generatori di calore: veicoli, industrie e gli stessi apparecchi di condizionamento. Ma allora bisogna intervenire per migliorare in altro modo il comfort termico degli edifici: con l’architettura passiva, l’attenzione ai materiali, l’efficienza energetica, il verde verticale, i tetti verdi – intanto evitando i materiali che trattengono calore. Dall’altro, cambiare l’uso dei suoli: riducendo la cementificazione, espandendo le aree verdi e alberate (con le specie capaci di fare più ombra), tutelando e utilizzando le risorse idriche. Il binomio green-blue, leggiamo nel rapporto del Cse, è in grado di ridurre anche di 5-10° C la temperatura nel microclima urbano.

IN ALCUNI CENTRI URBANI ASIATICI, faceva notare sempre l’Ipcc, qualche prova di adattamento urbano è in corso: sistemi di allerta, misure di protezione, infrastrutture energetiche resilienti agli shock termici, uso del suolo più sostenibile, spazi naturali, agricoltura di città. Ma le città verdi sono ancora lontane.