Ne usciremo cambiati… Ne usciremo meglio…”. Quante volte in questi due mesi di lockdown abbiamo sentito frasi del genere? Tante, forse troppe. Ce le siamo ripetute anche da soli, quasi a darci la forza di affrontare una crisi senza precedenti che, nel giro di un paio di giorni, ci ha stravolto la vita.
Ma una crisi del genere può aprire la strada a un mondo migliore?

A questa domanda prova a rispondere Shock Ecology, il dossier del WWF Italia (www.wwf.it), nel quale si ricostruiscono una serie di disastri epocali causati dall’incapacità umana di gestire in maniera equilibrata il rapporto con l’ambiente, che però hanno rappresentato anche punti di svolta per cambiamenti positivi.
Come anticipato nel 2007 dalla giornalista canadese Naomi Klein nel suo libro Shock Economy (Rizzoli), uno shock può rappresentare l’occasione per una drammatica regressione o per un profondo cambiamento. La storia ci ha insegnato che situazioni simili a quella che stiamo vivendo rafforzano meccanismi perversi di sfruttamento, distruzione e prevaricazione, oppure sono portatrici di cambiamenti positivi che consentono di aumentare il benessere delle nostre società.
Non è difficile supporre che mentre le persone normali provano a capire come affronteranno la crisi economica, sociale e politica provocata da quella sanitaria, da qualche altra parte c’è chi sta già lavorando per trarne vantaggio. E se questo vi pare cinico o peggio ideologico, ripensate a quel «io ridevo stamattina alle tre e mezzo dentro il letto» pronunciato da un imprenditore poche ore dopo il terremoto che colpì L’Aquila alle 3.32 del 6 aprile 2009.

Eppure le cose possono andare in maniera diversa, come appunto dimostrano alcune delle più importanti crisi ecologiche degli ultimi decenni. Il dossier del WWF ne prende in esame 11, evidenziando come in alcuni casi un disastro ambientale sia servito a promuovere riflessioni, politiche e normative finalizzate a proteggere ambiente e beni comuni.

Così, negli Anni ’30 del secolo scorso, gli USA reagirono alla catastrofe ecologica e sociale causata dalla perdita di fertilità del terreno per l’intensa colonizzazione agricola monocolturale che aveva stravolto le grandi pianure meridionali: nacquero il Great Plains Shelterbelt, un immane intervento di riforestazione che portò a piantare oltre 200 milioni di alberi per ridurre l’impatto dei venti e consolidare il terreno, il Soil Conservation Service per aiutare gli agricoltori a gestire meglio la fertilità del terreno, avviando importanti politiche ambientali con programmi di conservazione di suolo e acqua.

O, per tornare in Italia, la tragedia causata dalla nube di diossina che si generò il 10 luglio del 1976 da un’industria chimica, e che investì Seveso e altri comuni lombardi, con un drammatico impatto sulla salute umana e sull’ambiente: questa ebbe come effetto l’emanazione da parte della Comunità Europea della Direttiva Seveso 1 nel 1986, finalizzata a prevenire gli incidenti gravi da sostanze pericolose, in particolare quelle chimiche, cui seguirono nel 1996 la Direttiva Seveso 2, che accolse gli insegnamenti tratti dai successivi incidenti di Bhopal, Tolosa e Enschede, e nel 2012 la Direttiva Seveso 3 sulla riduzione del rischio.

E poi la campagna contro l’abuso di plastica nata dopo la divulgazione nel 1997 delle immagini del Great Pacific Garbage Patch, «l’isola di plastica» creatasi per l’accumulo di rifiuti nell’Oceano Pacifico, da parte dell’oceanografo Charles J. Moore che, durante una traversata in barca a vela, si ritrovò circondato da un mare di rifiuti, o il bando del DDT determinato dalla denuncia contenuta nel libro Primavera silenziosa di Rachel Carson che evidenziò l’impatto dei fitofarmaci su ambiente, salute umana e animali, descrivendo appunto il silenzio diffuso nelle campagne per la morte di intere popolazioni di uccelli a casa dell’abuso in agricoltura di sostanze altamente pericolose.

E ancora il Clean Water Act, approvato nel 1972 negli USA dopo un devastante incendio scaturito dagli sversamenti di petrolio e sostanze chimiche in natura, o il Protocollo di Montreal per la protezione dell’ozono, firmato nel 1987 dopo la scoperta dell’impatto dei clorofluorocarburi sulla fascia di ozono nell’atmosfera, e così via…

Questi disastri ambientali, i cambiamenti climatici, la diffusione di virus pandemici provocano immani perdite in termini di vite umane e duraturi effetti negativi sull’economia: sarebbe da folli non prendere contromisure rivedendo il nostro modo di relazionarci alla natura, introducendo cambiamenti ormai non più rinviabili che ci aiutino a rendere più sicura la nostra esistenza.

La crisi sanitaria che ha provocato tante vittime si è già trasformata in una gravissima crisi economica con pesanti conseguenze sull’occupazione e sul benessere delle persone. I fondi che si metteranno a disposizione per contrastare la disoccupazione e per rilanciare l’economia vanno indirizzati da subito per superare i limiti del modello di produzione e di consumo che, fino ad oggi, ha caratterizzato la nostra economia e la nostra società. Come ha evidenziato un appello promosso dalla coalizione di associazioni Green Seven, e già sottoscritto da oltre 300.000 cittadini europei (www.wemove.eu), è arrivato il momento di un cambiamento radicale e rapido delle nostre economie per farle diventare più verdi, più eque e più capaci di resilienza rispetto alle crisi future.

Lo shock della pandemia dovrebbe averci insegnato alcune cose: l’importanza della scienza e dello studio dei meccanismi naturali che regolano la vita sul Pianeta, la funzione strategica del settore pubblico, la necessità di azioni collettive, il ruolo degli ecosistemi nel nostro benessere.
Nessuno può pensare che esista un futuro per l’umanità senza il rispetto dei sistemi naturali: la salute del Pianeta e quella dell’uomo sono strettamente connesse e interdipendenti.

Lo sappiamo e dobbiamo agire di conseguenza. «Noi siamo le scelte che facciamo»: con questo slogan il WWF Italia ha lanciato una consultazione tra i cittadini, invitandoli a immaginare insieme “Il mondo che verrà” attraverso una campagna di comunicazione sociale. È il momento di far sentire la forza della società civile che condivide valori e aspirazioni, di capire insieme quali risposte dare alle crisi che stiamo vivendo.

La strada che sceglieremo per affrontare la crisi conseguente a questa emergenza sarà fondamentale, non solo per costruire un futuro di benessere sostenibile, ma anche per prevenire ulteriori drammi sanitari. Come recita il manifesto di lancio della campagna, «di fronte alla crisi, è venuto il momento di scelte innovative per razionalizzare l’uso delle risorse naturali, migliorando i meccanismi di produzione (che devono diventare davvero sostenibili), i modelli di consumo (che non possono non essere responsabili) e i modelli sociali nel loro complesso. È venuto il momento che i sistemi naturali e i servizi che essi offrono all’umanità diventino un patrimonio comune. È venuto il momento di ridurre il debito naturale che continuiamo ad accumulare sulle spalle dei nostri figli».