Isabelle Huppert non è potuta arrivare per l’Omaggio della Berlinale perché positiva al test, un cambiamento di programma dell’ultimo minuto che è ormai «routine» nella vita festivaliera. La Berlinale chiude oggi coi premi anche se è continuerà fino al 20 per il pubblico, gli accreditati invece fanno le valigie, il planning già rivolto al prossimo grande appuntamento della stagione, il Festival di Cannes, tornato nel solito calendario (17-28 maggio) e con il Marché del Film, cosa che insieme alla fine di molte restrizioni di viaggio garantirà forse un numero di presenze maggiore dello scorso anno.

GLI «OBBLIGHI» della pandemia hanno rivelato un dato interessante specie riguardo ai grandi festival quali appunto la Berlinale e Cannes che seppure molto diversi tra loro – quello tedesco è strettamente legato alla città – negli anni sono stati sempre di più condizionati dai loro mercati. A cominciare dai partecipanti, lo provano appunto i numeri di queste edizioni senza mercato, come se il festival in sé fosse divenuto meno centrale cosa che invece non accade a Venezia dove con la mancanza di un mercato del film le presenze sono tutte per l’evento festivaliero. Il futuro a questo punto è un po’ da ripensare, perché è molto probabile che la fruizione online rimarrà anche a pandemia finita.
Le prime immagini del nuovo film di Éric Baudelaire ci portano nel mercato dei fiori di Aalsmeer, in Olanda dove ogni giorno milioni di fiori tagliati, che provengono soprattutto dall’Africa, vengono «confezionati» per essere spediti in tutto il mondo: una catena di montaggio asettica in cui rose e tulipani sono spogliati dell’aura di poesia che portano con sé una volta sui banchi di un mercato o nel negozio del fioraio, scivolando in forma di oggetti anonimi sui nastri attraverso i diversi processi di trattamento e conservazione. A un certo punto il «paesaggio» muta, siamo a Parigi, di notte, una figura maschile cammina commentando tra sé la ritualità della giornata, e le visioni che incrociano i suoi passi. L’uomo (Oxmo Puccino) entra in bar deserto, inizia una conversazione con un altro cliente (Dali Bensallah), un tipo capitato in città per fare acquisti e che ha perduto l’ultimo treno della sera per tornare a casa, immerso nei suoi pensieri.

QUAL È il rapporto tra queste due diverse «visioni»? Il titolo del film suggerisce qualcosa: Un fleure à la bouche – presentato al Forum che anche quest’anno ha proposto un cartellone di ricerca tra i sentimenti del contemporaneo. L’ispirazione è Pirandello, L’uomo dal fiore in bocca, scritto nel 1923 e infinite volte rappresentato, circostanza che rende una nuova «rilettura» ancora più complessa. A differenza però di Paolo Taviani, che nel confronto col poeta – la sua opera, la sua leggenda – cerca una traduzione «pirandelliana», Baudelaire allena il testo a un movimento inaspettato, contemporaneo e insieme universale, la cui fedeltà sempre che sia importante sta proprio nel gesto di reinventarlo – sua la scrittura e di Anne-Louise Trividic. Il testo dunque muta, accoglie nuove suggestioni e mantiene le sue parti, si apre a ciò che gli autori vedono in lui: la linea narrativa è sempre quella di un uomo malato a cui rimane poco da vivere, e di un altro che ne ascolta in una notte i pensieri sulla vita, sul mondo, le strategie di sopravvivenza, l’intuito acuto di uno sguardo che riesce a dire prima di sapere, che lavora sull’immaginazione, sul non detto.

«EPITELIOMA» è il fiore in bocca che non gli lascia scampo, non vuole però rimanere a casa, a preservarsi come vorrebbe il fratello, deve riempire gli occhi di tutto ciò che non ha tempo di vivere. «Una piccola cosa, graziosa, diversa, scorta per caso in un quartiere dove le persone come me o come lei non vanno mai, che anzi detestano. Eppure ci possono sorprendere perché una volta lì si smette anche se solo per qualche secondo di detestare ciò che si vede» dice all’uomo che lo ascolta, davanti ai suoi pacchetti. La notte ha una luce morbida di inquietudine e di dolcezza (grazie alla fotografia di Claire Mathon), i due uomini sembrano quasi specchiarsi uno nel controcampo dell’altro, in una performance attoriale magnifica, modulata sulle emozioni più profonde, senza sentimentalismi né eccessi istrionici, modulando ritmo, voce, sfumature, uno in crescendo (Puccino), l’altro che sa nello stupore controllare ogni muscolo (Bensallah). Inventare, ridefinire, creare nuovi orizzonti: non è questo anche il potere di un gesto d’arte? Piano piano la parola si fa corpo, occupa uno spazio, ne traccia una geografia, racconta una morte a suo modo viva, nella carnalità curiosa delle emozioni, di segno opposto a quel fiore anestetizzato dal processo produttivo. È allora questa la relazione tra le due parti del film? Forse. O forse è solo una possibilità, la messinscena di qualcosa che riguarda il nostro mondo, che ne interroga la sostanza nella parola e nelle immagini, cercandone una possibile rappresentazione.