Il fermo di una persona da parte della polizia per la sua etnia non è una pratica discriminatoria. Lo afferma la sentenza emessa mercoledì da una delle corti della capitale olandese, L’Aia, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità delle pratiche e dei controlli messi in atto dalle forze dell’ordine nei confronti delle persone che entrano nel Paese in aereo, in treno, in pullman.

“Ogni volta che rientro in Olanda vengo fermato per la mia etnia”, ha denunciato una delle parti in causa, il consigliere di Eindhoven, Mpanzu Bamenga. L’episodio che lo ha visto direttamente protagonista è avvenuto nel 2018 in aeroporto quando è stato fermato e sottoposto a un controllo oltremodo attento da parte della polizia, insospettita dal suo aspetto giudicato non olandese.

Dopo aver denunciato l’episodio, ha ricevuto la solidarietà di varie organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti umani, a partire da Amnesty International e altre realtà antirazziste che lo hanno affiancato nella sua battaglia legale per chiedere la messa fuori legge della pratica dell’”ethnic profiling”, la profilazione etnica da parte della polizia.

La corte de L’Aia, però, si è espressa diversamente, definendo l’etnia uno dei legittimi criteri guida delle azioni della polizia. Con questo verdetto, contro cui è già stata espressa la volontà di fare ricorso da parte dei ricorrenti, “ribadiamo l’impegno a porre fine alla profilazione etnica” ha scritto la sezione olandese di Amnesty su Twitter, si alimenta la discussione su un tema già incandescente come il razzismo e le pratiche discriminatorie messe in atto dalle istituzioni olandesi.

Proprio l’accusa di aver saputo delle frodi fiscali a danno di migliaia di famiglie, soprattutto di origini straniere, aveva spinto il governo Rutte a dimettersi a gennaio di quest’anno.