L’assassinio di Ismail Haniyeh sotto il naso delle Guardie della Rivoluzione della Repubblica Islamica (Irgc) è stato sicuramente un colpo al prestigio del principale apparato militare che controlla saldamente l’Iran. Ciò assume aspetti ancora più umilianti se si considera che l’azione è stata condotta con la massima precisione in un complesso sensibile, altamente sorvegliato da sofisticati sistemi di videosorveglianza e protetto da difese aeree.

Tuttavia, oggi l’Irgc controlla saldamente il paese in ogni suo aspetto: militare, economico e sociale. Nonostante i media occidentali e di lingua persiana battano i tamburi della denigrazione per il colpo subito, la macchina di propaganda del potere ha grande capacità di uscire dalla matassa senza accusare il colpo per i suoi sostenitori.

GLI IRANIANI non favorevoli al regime hanno già idee chiare sulle nefandezze dei servizi di sicurezza del paese e hanno sperimentato l’abuso del loro potere negli uffici pubblici, nelle banche, nel commercio e in piazza.

Infatti l’Irgc ha già scritto la sua verità sull’assassinio di Haniyeh, promettendo la vendetta: «L’operazione terroristica è stata eseguita con il lancio di un proiettile a corto raggio con una testata di circa sette chili, dall’esterno della zona di residenza degli ospiti». E secondo alcune fonti almeno 24 persone sono state arrestate come sospettate dell’omicidio.

Gli assassinii mirati e i sabotaggi israeliani in Iran non sono affatto una novità. Nel 2021 Mohsen Fakhrizadeh, scienziato nucleare, è stato assassinato da una sofisticata arma robotica. Alcuni anni prima Mostafa Ahmadi-Roshan, altro scienziato, è stato ucciso da una bomba piazzata sulla sua auto a Teheran.

L’elenco dei sabotaggi effettuati o sventati è lungo, a riprova dei molti anni di guerra ombra tra i due paesi. Nemmeno l’infiltrazione dei servizi stranieri è una novità, considerando l’egemonia di quelli occidentali e mediorientali e il sostegno dei Mujahideen del Popolo, organizzazione d’opposizione iraniana ricca e influente, le cui lobby oggi popolano il Congresso americano e le cancellerie di mezza Europa.

Al di là della narrazione hollywoodiana con cui alcuni media descrivono l’evento, l’assassinio è avvenuto dopo che i massimi generali della Repubblica islamica avevano annunciato, nell’aprile scorso, un cambiamento fondamentale nell’approccio iraniano: «Da ora in poi, se il regime sionista attacca i nostri interessi, beni, personalità e cittadini ovunque, verrà contrattaccato», aveva dichiarato il comandante dell’Irgc, Hossein Salami.

È evidente che il massiccio attacco iraniano del 13 aprile contro Israele e l’impegno ufficioso preso con gli americani di abbassare la tensione nell’area non hanno funzionato. Oggi il potere è criticato dagli analisti iraniani per aver intrapreso una strategia pericolosa, che ha messo il paese di fronte a una probabile guerra devastante dalla quale non c’è via di ritorno.

UNA RITORSIONE  iraniana potrebbe segnare l’inizio della fine per il neo-presidente riformista in Iran che, nonostante dovesse presentare il suo governo ieri, non lo ha fatto. Probabilmente non sa se deve formare un governo di guerra o di pace.

La ritorsione contro Israele è quasi certa. I messaggi americani inviati attraverso i mediatori dei paesi arabi sono rimasti senza risposta. Gli iraniani evitano anche la comunicazione indiretta con gli americani, accusandoli di complicità e incolpandoli di non aver impedito l’azione del loro principale alleato.

Dopo il bombardamento dei quartieri sciiti di Beirut, nonostante l’inviato speciale americano Amos Hochstein avesse preso l’impegno di tenerli fuori dal conflitto, anche Hezbollah in Libano ignora le mediazioni. Il governo Netanyahu sta distruggendo tutti i ponti e il residuo di credibilità statunitense in Medio Oriente.