In politica, qualunque accordo contiene la clausola – esplicitata o no – rebus sic stantibus. Questo perché, diversamente, l’accordo potrebbe essere attuato in danno dell’una o dell’altra parte contraente.
Vale anche per il contratto in gialloverde.

È in base a tale principio che si è aperta, dopo il voto europeo, la discussione sulla possibilità di nuove elezioni a breve. Ma il ragionamento può applicarsi anche – più limitatamente – alla parte del contratto relativa al regionalismo differenziato.

Le bozze di intesa sono state elaborate in due fasi. La prima, trattativa tra ministero delle autonomie e singole regioni. La seconda, trasmissione delle bozze di intesa così elaborate ai ministeri competenti, per acquisirne le osservazioni.

Non risulta alcuna valutazione collegiale di governo degli indirizzi da seguire nella trattativa, dei limiti da osservare, delle materie eventualmente da sottrarre a ogni devoluzione di poteri. Le intese sono state scritte nella trattativa segreta ministero autonomie-regione, con successive eventuali correzioni.

Cos’è accaduto? Laddove c’è stato un idem sentire tra il ministero delle autonomie trattante e il ministero interpellato le correzioni richieste sono state poche o nessuna, risultando in una sostanziale accettazione delle pretese regionali.

Così per la scuola, dove la ministra Stefani, leghista, ha dialogato con il ministro Bussetti, parimenti leghista. Ne è venuta una regionalizzazione integrale. Il contrario è accaduto in materie come l’ambiente o le infrastrutture. Molteplici e corposi dissensi sulla proposta avanzata dal ministero delle autonomie trattante impediscono che nella bozza di intesa si traduca il solo indirizzo leghista.

Un primo errore si trova quindi nella mancata adozione di strumenti necessari a prevenire che un assetto costituzionalmente rilevante e decisivo per il paese dipenda dalla sintonia politica tra ministra trattante e ministro competente per materia.

Un secondo errore si riscontra perché, come amano dire i governatori leghisti, l’autonomia ex art. 116 è un “abito sartoriale”, cucito su ogni singola regione. Ma una richiesta estesa a tutte o quasi le materie richiamate dalla norma dissolve la riferibilità alla singola regione. Inoltre, parti decisive delle bozze di intesa coincidono parola per parola.

Ciò accade con riferimento alle risorse per le tre regioni, e per Lombardia e Veneto riguardo alla scuola e alle infrastrutture. L’abito sarà pure sartoriale, ma su scala pluriregionale.

È esattamente quel che ci vuole per una strategia separatista del grande Nord. L’impraticabilità richiamata dalla ministra Lezzi tocca il merito delle proposte di Lombardia e Veneto, ma in realtà investe in generale anche il metodo. Che è stato deciso dalla ministra Stefani nei termini di una trattativa privata nelle segrete stanze. Bene avrebbe potuto decidere, invece, di avere momenti di pubblicità, di ammettere al tavolo, quanto meno per assistere, altre regioni, di informare periodicamente il parlamento sul dettaglio della trattativa in corso, di cercare in itinere momenti di valutazione collegiale inter-ministeriale, o il confronto con esperti e studiosi, o il parere di organi tecnici indipendenti quali l’ufficio parlamentare di bilancio e la ragioneria dello Stato, o ancora del dipartimento affari giuridici e legislativi della presidenza del consiglio.

Tali modalità avrebbero consentito di correggere in corso d’opera la rotta e di pervenire senza strappi a un risultato conclusivamente più equilibrato e accettabile.

Se oggi volano gli stracci è per gli errori della Stefani, che ha interpretato il proprio ruolo di ministro della Repubblica non già nel senso di essere portatrice nella trattativa – in contraddittorio – dell’interesse dello Stato e della comunità nazionale, ma piuttosto di farsi tramite per l’accettazione delle pretese regionali, quali che fossero.

Questo non era ragionevolmente prevedibile nel momento della stipula del “contratto”, né si può ricondurre ad una attuazione in buona fede (politica).

E dunque le bozze di intesa prodotte sono incompatibili con la clausola rebus sic stantibus, e il vincolo contrattuale si scioglie. Lo ricordi il premier Conte nel prossimo vertice di maggioranza del 19 luglio.