«Il terrorismo di destra nascosto» era il il titolo ieri della taz on line. La Germania si è svegliata sotto a un cielo grigio, nonostante l’aria di primavera, e con una nuova, feroce esplosione di razzismo: 9 morti, oltre al killer (e a sua madre), un tedesco quarantenne «qualunque» che ha sparato alla cieca nei due shisha bar di Hanau frequentati dalla comunità turca locale perché «gli stranieri che non si possono espellere vanno annientati». Ieri mattina a Berlino l’atmosfera era calma, controlli discreti in metropolitana e intorno al Festival col tappeto rosso ancora in allestimento per la serata inaugurale. In un comunicato diffuso al pomeriggio la Berlinale ha espresso vicinanza alle vittime e alle loro famiglie ribadendo la propria condanna al razzismo e alla violenza, e prima della proiezione inaugurale è stato osservato un minuto di silenzio.

BERLINO 70 comincia dunque così, un’edizione di cambiamenti, il primo, e il più importante, quello alla direzione con l’arrivo di Carlo Chatrian e Mariette Rissenbeek al posto di Dieter Kosslick, che ha guidato il festival per vent’anni, e già questo ha creato molte attese. C’è un nuovo concorso, Encounters,che Chatrian definisce «uno specchio del XXI secolo» aperto dal bel film di Cristi Puiu Malmkrog – alcune sezioni sono sparite, il clima nonostante difficoltà di organizzazione – la più importante il Coronavirus – è positivo.

UN DUETTO di star, tutto al femminile – una delle protagoniste, Sigourney Weaver lo ha definito nell’incontro stampa «un grande passo in avanti per le donne nell’industria cinematografica grazie al #MeToo» – è il film scelto per l’apertura, una grande attrice appunto, Weaver, e un’emergente lanciatissima come Margaret Qualley – l’irresistibile autotoppista di C’era una volta a … Hollywood – un po’ come i loro personaggi, Margaret, il «monumento» degli agenti letterari, e Joanna ventenne appena arrivata a New York con l’idea di scrivere poesie che diviene la sua assistente. Siamo nel 1995 ma nella casa editrice dei più importanti scrittori del Novecento tutto è rimasto fermo a decenni prima: Margaret non vuole vedere computer, chiede a chi lavora con lei un dress code un po’ classico senza sandali aperti o shorts, ma soprattutto non vuole tra i suoi assistenti aspiranti scrittori.

COME JOANNA che infatti mente, e coi suoi entusiasmi e la passione a volte naif, a volte semplicemente di uno sguardo che porta in sé diverse esperienze pian piano la conquista pure se lei fa finta di no: Margaret è ineffabile e inafferrabile, l’unico per cui è sempre disponibile è solo «Jerry», l’autore intorno al quale l’agenzia ruota, ovvero Salinger. Del suo Giovane Holden parlano tutti i nuovi amici di Joanna, che viene messa a smistare le lettere dei suoi fan, altre storie, altre vite, la sola che di Salinger non ha mai letto nulla è proprio lei.
My Salinger Year – è diretto con stile da «cinema indipendente» da Philippe Falardeau (Monsieur Lazhar), canadese – è girato a Monteral «trasformata» in New York- che si è ispirato al memoir di Joanna Rakoff, il personaggio del film – in Italia lo ha pubblicato Neri Pozza col titolo Un anno con Salinger.
MA PIÙ che un film sugli ambienti letterari – che pure si respirano – e su un universo nei Novanta (oggi un po’ come allora gli anni Settanta) e i suoi riferimenti ancora importanti, il «New Yorker» ad esempio un mito sin da piccola per Joanna che lo leggeva insieme al padre, la carta, i libri, la lettura, il film è un oggetto «letterario» nella sua forma di romanzo di formazione alla Salinger: una specie di controcampo al Giovane Holden che diviene una ragazza, l’autrice/personaggio, Joanna, l’io narrante, la ventenne di una generazione ancora vicina al passato ma capace di cogliere ciò che a Margaret talvolta ormai sfugge.. Al tavolo con colei che scopre poi essere Rachel Cusk Joanna si lancia in una interpretazione accalorata del suo romanzo – diversa da quella dell’autrice: ha passione, batte sui tasti della vecchia macchina da scrive lettere in risposta ai fan di Salinger trasformandoli in personaggi che le appaiono nella minuscola casa senza lavandino in cucina, divisa col fidanzato libraio e aspirante scrittore.
E poi? E poi tra le pagine della narrazione scivola la vita – o forse è il contrario? – con le sue sliding doors, le danze di incontri mancati, i vecchi amori mai finiti e quelli nuovi mai cominciati. Ciò che si lascia indietro e quello che si perde un po’ tra un trasloco e l’altro, le scelte, le passioni, i cambiamenti inattesi. Sembra di averlo visto altre volte questo film, eppure questa sua forma rassicurante è anche la sua forza grazie a una regia che sa maneggiare con accuratezza ogni passaggio sentimentale. Funzionerà. Per l’Italia lo ha comprato Academy 2.