Ancora fuori dal calcio europeo. E idealmente, con un piede in quello asiatico. Pochi giorni fa l’Uefa ha deciso di tenere ancora alzata la Cortina di Ferro intorno al movimento calcistico russo. In sostanza, con la guerra in Ucraina che ha toccato il suo primo anniversario e che prosegue senza alcun segnale di passi indietro e ravvedimenti della Federazione Russa, non c’è apertura per il ritorno nelle competizioni sotto il cappello di Uefa e Fifa sia della nazionale russa, che delle squadre di club.

Non ci sono quindi spiragli per il ritorno russo in Champions League, Europa League, Conference League e c’è il bando per la nazionale dagli Europei del prossimo anno – dopo l’assenza forzata dai recenti Mondiali in Qatar – e dalla prossima edizione della Nations League.

La decisione sull’eventuale riapertura al calcio russo delle istituzioni del pallone era parecchio attesa. Il recente vertice di Nyon (Svizzera) tra l’Uefa e la federcalcio russa non è però andato come nelle previsioni di Mosca, che pensava a un atto di disgelo, di riavvicinamento. Anche se in conflitto incalza e non si intravedono passi in avanti verso la tregua.

E invece non si cambia, la linea resta dura: la Supercoppa europea del 2023 fissata per agosto, che vede in campo la vincitrice della Champions League dell’Europa League non sarà disputata, come previsto, a Kazan. Presto sarà individuata una nuova sede, come avvenuto per la finale della Champions League 2021/22, che era inizialmente programmata a San Pietroburgo e successivamente è stata spostata a Parigi, poche settimane dopo l’inizio del conflitto in Ucraina.

In realtà, i media russi si erano illusi. L’incontro con l’Uefa era stato colto, almeno dalla delegazione moscovita, come un’opportunità di discutere sul reintegro dei club e della nazionale nelle competizioni europee. La Uefa non ha comunque chiuso definitivamente le porte, d’altronde non potrebbe permetterselo con il conflitto in corso, informandosi anche sullo stato del campionato nazionale russo. Ma fino a quando ci sarà ancora la guerra in Ucraina, nessun club sarà ammesso nuovamente alle competizioni europee, ovviamente nazionale inclusa. Anche se questo embargo costa soldi un po’ a tutti, certamente al calcio russo ma anche a Fifa ed Uefa.

A questo punto, sul medio periodo nessuno scenario può essere scartato a priori. Se dovesse prolungarsi il bando al calcio europeo, con Uefa e Fifa concordi a imporlo pochi giorni dopo l’inizio delle ostilità militari sul territorio ucraino, la federcalcio russa potrebbe riprendere in esame l’adesione alla Confederazione calcistica asiatica. A fine dicembre il comitato esecutivo della federcalcio russa ha respinto la proposta che era stata avanzata di lasciare l’Uefa e chiedere l’adesione alla confederazione asiatica.Un passo politico, in attesa di un’apertura dall’Uefa, sperando in un responso positivo dal vertice di Nyon. Che invece non c’è stato.

L’ipotesi però è in campo da diversi mesi. C’è la consapevolezza da parte della Russia che sarebbe un passo difficilmente poi rimediabile. E la decisione di unirsi all’Asia provocherebbe delle conseguenze finanziarie assai pesanti per le squadre di club, come sottolineato dalla dirigenza del Cska Mosca: niente soldi dalle coppe europee, un duro colpo alle finanze e la necessità di avvicinarsi al calcio asiatico, assai meno ricco rispetto a quello europeo. E se è comunque un fatto che una vastissima porzione del territorio della Federazione Russa si trova in Asia e quindi l’ingresso nella competizione asiatica sarebbe addirittura più sensata, veritiera rispetto all’Australia (membro della Confederazione dal 2006), si tratterebbe di un evidente ripiego storico, politico e sportivo. Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica e quindi anche della formidabile nazionale allenata dal colonnello Valeri Lobanovsky che arrivò in finale agli Europei del 1988 (battendo l’Italia in semifinale) è stato il calcio europeo ad accogliere russi, ucraini, bielorussi nel calcio continentale.

In Italia sono arrivati, senza mai esplodere, i cardini di quell’Urss: Zavarov e Aleinikov (Juventus), Mikhailichenko (Sampdoria), Dobrovolsky (Genoa). Negli anni successivi il calcio russo è cresciuto in Europa, anche attraverso fenomeni durati un lampo come l’Anzhi oppure il Terek Grozny del sanguinario leader della Cecenia Ramzan Kadyrov, si è affacciato all’Europa calcistica che conta. Poi ci sono stati i discussi Mondiali del 2018, che l’allora presidente della Fifa, Joseph Blatter, assegnò la competizione alla Federazione Russa e pure l’edizione del 2022 al Qatar.

La transizione verso l’Asia, quindi, dopo oltre 30 anni in Europa sarebbe quindi un danno, anche d’immagine, per la Russia, ma una decisione sarà presa, ha fatto sapere Mosca, entro i prossimi mesi.

Nel frattempo, ci sarà solo da capire l’orientamento del Comitato olimpico internazionale (CIO) in vista dei Giochi olimpici di Parigi 2024. Negli ultimi giorni c’è stata l’apertura inattesa: russi e bielorussi potrebbero essere in gara a Parigi – nei Giochi che Emmanuel Macron presenterà al mondo come la dimostrazione plastica della Francia multietnica – qualora rispettassero una serie di condizioni. Rispetto della Carta olimpica, niente inno, colori o identificazione con i loro paesi. Un cambio radicale di atteggiamento che ha provocato l’irritazione dell’Ucraina, evidenziata dalle parole del presidente Volodymyr Zelensky e del ministro dello sport (e capo del comitato olimpico ucraino) che hanno minacciato il boicottaggio della delegazione di Kiev alle Olimpiadi parigine.