La Camera ha approvato ieri in maniera definitiva la riforma sulla scuola con 277 sì, 173 no e 4 astenuti. Dopo tre mesi e mezzo di iter parlamentare ricattatorio il governo Renzi è riuscito ad imporre alle quasi 8 mila scuole italiane un’organizzazione aziendalista. La cosiddetta «buona scuola» istituisce la chiamata diretta dei docenti da parte del «preside-manager» (detto «sceriffo» o «sindaco»), una norma già contenuta in un analogo provvedimento dei governi Berlusconi e poi Monti (il Ddl Aprea) respinto nel 2012. Questo preside, a metà di un dirigente di azienda e un padre-padrone, sceglierà una parte dei docenti neo-assunti (102 mila) in base al curriculum una volta realizzati gli albi territoriali dal 2016. Gli è stata riconosciuta la facoltà di conferire e rinnovare al docente un incarico triennale in base alla sua discrezionalità. Il preside deciderà anche di aumentare lo stipendio a una minoranza di docenti sulla base di criteri da lui stabiliti nel piano triennale e non in base alla negoziazione contrattuale. Al dirigente scolastico è stata attribuita infine la potestà di rescindere il contratto a chi tra i docenti neo-assunti non supererà l’anno di prova. In questa cornice sarà ridotto drasticamente il ruolo dei sindacati nella contrattazione, una strategia che rientra nel piano renziano di esautorare il ruolo dei corpi intermedi e della mediazione socio-professionale a favore di una visione autoritaria e personalistica.

La riforma approvata ieri ha istituito un comitato di valutazione con genitori e studenti che entra in contrasto con il collegio di istituto e quello dei docenti. Questo organo deciderà sugli aspetti didattici, professionali e salariali, materie sulle quali non ha alcuna competenza specifica e che, anzi, rischia di creare conflitti personali con i docenti. Nei termini di una gestione aziendale – questo è il punto di vista del governo – preside e comitato di valutazione favoriranno la «customizzazione» della scuola. La libertà di insegnamento sarà subordinata alle esigenze dei «clienti» e la didattica sarà trattata come un «prodotto». Chi non si adatterà alle esigenze del mercato dove concorreranno istituti di serie A e B, o al pubblico che garantisce anche finanziamenti, non sarà giudicato compatibile con la scuola-azienda. Il collegio docenti è stato inoltre esautorato e, con esso, anche la dimensione cooperativa e collegiale del lavoro dei docenti. L’obiettivo della «scuola dell’autonomia», imposta quindici anni fa da Luigi Berlinguer, e faro della pedagogia liberista sostenuta anche dagli eredi del partito comunista (poi Pds, Ds e oggi Pd) è stato pienamente realizzato.

Per i sindacati, gli studenti e i docenti che si sono mobilitati in maniera instancabile a partire dallo sciopero generale del 5 maggio scorso, la riforma che istituisce la «chiamata diretta» lede una serie di principi costituzionali come la libertà d’insegnamento. Problemi arriveranno anche dalla creazione dell’organico territoriale dei docenti, dalla disparità di trattamento sulla titolarità d’istituto tra docenti e personale Ata. Nemmeno il tema qualificante della riforma – la «scomparsa» del precariato – può essere considerato tale. Sono all’incirca 100 mila i docenti precari abilitati e idonei ad altri concorsi esclusi dalle assunzioni; non saranno stabilizzati gli Ata con almeno 36 mesi di servizio, mentre nell’organico di diritto restano scoperti 30 mila posti sul sostegno.

Su questi presupposti, da settembre, i sindacati sono d’accordo nel sollevare il più grande contenzioso giudiziario nella storia della scuola italiana. Marcello Pacifico (Anief) annuncia richieste di risarcimenti milionari, mentre Stefano D’Errico (Unicobas) prevede che mancherà il numero legale nei collegi docenti chiamati a votare sul nuovo «organico funzionale». Per Francesco Scrima (Cisl Scuola) «il governo si è assunto la grave responsabilità del mancato confronto con la scuola» e Rino Di meglio (Gilda) accusa Renzi di «arroganza e presunzione». La battaglia avverrà anche contro i decreti attuativi avverte Marco Paolo Nigi (Snals/Confsal). «La mobilitazione continuerà con tutti gli strumenti possibili per contrastare l’applicazione di una legge che fa arretrare il sistema di istruzione» annuncia Domenico Pantaleo (Flc-Cgil). «I sindacati e le strutture di base – è l’appello di Piero Bernocchi (Cobas) – trovino le modalità comuni nella conduzione della “guerriglia” contro questa legge-porcata».

La trasversalità del movimento tiene nonostante la sconfitta annunciata nella prima battaglia contro la «Buona scuola» del governo Renzi.Toni, e propositi ugualmente determinati, sono stati espressi dagli studenti. Insieme ai docenti ieri a piazza Montecitorio hanno lanciato libri e urlato a squarciagola «Vergogna!» contro il Palazzo mentre la Camera approvava la riforma. Nella notte tra mercoledì e giovedì gli studenti dell’Uds hanno realizzato anche un blitz in alcuni parchi della Capitale dove hanno imbavagliato decine di statue raffiguranti, ad esempio, quella Cesare Beccaria, filosofo e giurista: «Per rimarcare quanto l’approvazione del ddl scuola prevista per oggi, silenzi il mondo dell’istruzione e della cultura, e al tempo stesso neghi un investimento vero per garantire l’accesso ai saperi il diritto allo studio». « Boicotteremo i dispositivi di valutazione, creeremo nuovi organi di partecipazione, costruiremo proposte alternative da mettere in pratica scuola per scuola – hanno detto gli studenti in un video diffuso sui social network – Boicotteremo la legge in ogni sua forma, contro il mercato dei saperi e la privatizzazione dei diritti». «In autunno le scuole saranno un problema per il Governo Renzi» conferma Danilo Lampis coordinatore Uds. Appuntamento allora «al primo giorno di scuola, che sarà solo la data iniziale di un autunno denso di mobilitazioni studentesche conferma Alberto Irone della Rete degli studenti medi – Gli studenti non accetteranno una scuola azienda, antidemocratica, privatizzata ed escludente. Non ci fermeremo fino a quando la scuola non sarà buona per davvero».

In tutt’altra realtà vivono gli esponenti di un governo che ha sudato sette camice per portare a casa una riforma il cui iter parlamentare è stato gestito in maniera caotico e approssimativo, spaccando il partito democratico che ha comunque tenuto. Per la ministra dell’Istruzione Stefania Giannini, la sua approvazione alla Camera «non è un atto finale» ma «l’atto iniziale di un nuovo protagonismo della scuola». «Il caos nella scuola si potrà creare solo se non si va a una applicazione piena della riforma» ha aggiunto rispondendo ai sindacati. E poi ha messo le mani avanti: «Non c’è legge perfetta, ci saranno punti deboli e ci sarà la possibilità di correggerli, ma è una grande opportunità, che consegniamo nelle mani di studenti, famiglie, insegnanti». Si mette in conto, cioè, che la riforma subira vari rimaneggiamenti, anche alla luce delle deleghe che il parlamento ha votato al governo, su aspetti determinanti per l’intero meccanismo ideato. Per la ministra in Italia c’è stato un «precariato stabile» e il governo ha cominciato a risolvere il problema. I sindacati hanno messo in moto i loro centri studi e dimostrano esattamente il contrario: il precariato continuerà, come le supplenze l’anno prossimo. E le assunzioni non risolvono affatto il problema del precariato. L’anno prossimo ci saranno 60 mila insegnanti senza cattedra.

Renzi vince in parlamento, ma si ritrova da solo nelle piazze. E nelle sezioni del suo partito. Ieri però ha incassato il favore della Conferenza Episcopale Italiana. Il segretario generale monsignor Nunzio Galantino si è scoperto più renziano dei renziani quando ha detto che la riforma della scuola «è un passo in avanti in un Paese troppo abituato alla stagnazione». Le critiche al governo, e la spaccatura nel Pd, non turbano il monsignore: «Appena si intravede qualcosa di nuovo scatta subito il virus della conflittualità». Segue il sollievo per la bocciatura della presunta norma sul «gender» e l’invito a «investire di più sulla formazione». Probabilmente alludeva alle scuole paritarie cattoliche che hanno ricevuto in regalo dal governo le facilitazioni fiscali contenute nello School Bonus.