Le statistiche parlano chiaro: la scherma è lo sport che ha regalato più medaglie all’Italia nella storia delle Olimpiadi. Nessun azzurro salì però sulle pedane ateniesi nella prima edizione dei giochi moderni, contraddistinti da un accadimento che ha del clamoroso: in un’epoca di dilettantismo puro, di fatto fu permesso a dei professionisti di competere. Fra i tre tornei in programma, c’era infatti il “fioretto maestri”.

A contendersi il titolo furono solo il francese Jean Maurice Perronet e il greco Leonidas Pyrgos, con quest’ultimo che si impose per 3-1. Nel 1900, a Parigi, fu proprio nella “sciabola maestri” che arrivarono le prime medaglie nostrane con l’affermazione di Antonio Conte su Italo Santelli. Lo sconfitto è considerato una sorta di padre fondatore della sciabola ungherese, visto che si trasferì a Budapest per insegnare il verbo schermistico. Se le scuole italiane e francesi sono quelle di maggior successo nel fioretto e nella spada, proprio l’Ungheria è il Paese della sciabola, con il campionissimo Áron Szilágyi che a Parigi proverà a centrare un inedito poker di medaglie d’oro.

Riavvolgendo il nastro della storia, va rammentato che fino al 1912 i campioni disertarono le Olimpiadi, per poi ricredersi e dare lustro alla competizione a cinque cerchi. Così ebbe inizio l’eterno duello tra l’Italia e la Francia. Due filosofie schermistiche differenti, come si può notare soprattutto nel fioretto, l’arma più raffinata e tecnica, perché il bersaglio è limitato solo al torso e alla schiena. I francesi sono fantasia e attacco, gli italiani calcolo e difesa, cifra distintiva anche di altri sport.

Nel passato non c’era la specializzazione odierna: tutti si cimentavano in tutte le armi. Ovvero, oltre al fioretto, la sciabola dai ritmi impetuosi e la spada più compassata e riflessiva, dove il bersaglio è tutto il corpo e che per tale ragione è considerata meno «virtuosa». In un’epoca in cui la bellezza del gesto era tanto, se non tutto – nei primi turni delle Olimpiadi gli arbitri assegnavano un punteggio anche per l’elemento estetico – erano in tanti a bollare la spada come una sorta di figlia di un dio minore.

Tra questi il severissimo maestro livornese Giuseppe Nadi, che tirò su a pane e scherma i due figli Nedo e Aldo. A soli 18 anni, Nedo vinse l’oro nel fioretto a Stoccolma nel 1912, per ripetersi otto anni dopo ad Anversa, dove fece incetta di medaglie: cinque e tutte d’oro. Si narra che lo spadista belga Léon Tom abbia fermato il suo assalto contro di lui per chiedergli spiegazioni su un colpo, mentre lo statunitense Arthur Lyon se lo issò sulle spalle per portarlo in trionfo, tanto era ammirato dalla sua classe, dalla sua perfezione schermistica.

Aldo raccolse meno medaglie, ma ebbe una vita di sicuro più avventurosa. Grande donnaiolo e incallito frequentatore dei casinò di mezza Europa, sembrava uscito dal libro di Arthur Schnitzler Gioco all’alba. Spirito anarchico, non piegò mai la testa al fascismo, trovando in questo un punto di contatto con Nedo, mai tesserato al partito e per questo oggetto di critiche quando a Berlino 1936 si presentò con la doppia carica di commissario tecnico e presidente della federazione.

Finalmente proprio a Parigi, nel 1924, fecero la loro apparizione anche le fiorettiste – per spadiste e sciabolatrici bisognerà aspettare un’altra settantina d’anni. “Non sono mai stato estraneo alla scherma. Ricordo le medaglie di Irene Camber a Helsinki 1952, quando si seguiva alla radio”. Per celebrare la prima medaglia d’oro di un’italiana prendiamo in prestito le parole del presidente Sergio Mattarella, che sicuramente avrà seguito con passione le gesta di un altro gigante della scherma italiana: Edoardo Mangiarotti.

Figlio d’arte, il padre Giuseppe esordì a Londra nel 1908, è l’uomo dei record: è lo schermidore e l’atleta italiano più medagliato della storia, ben 13, da Berlino 1936 fino a Roma 1960, nonché l’unico insieme al marciatore Ugo Frigerio a rivestire per due volte il ruolo di portabandiera nelle Olimpiadi estive. Grande spadista, Mangiarotti vinse un argento anche nel fioretto, battuto dal fenomeno transalpino Christian d’Oriola, l’unico insieme a Nedo Nadi a fare il bis nella specialità più nobile. Proprio come Nadi, Mangiarotti fu poi per decenni un apprezzato giornalista sportivo.

Un altro capitolo gioioso della storia schermistica italiana è quello scritto dalla scuola jesina nel fioretto femminile: una messe incredibile di successi, iniziata da Giovanna Trillini e dalla quale prese il testimone Valentina Vezzali, unica donna a vincere tre medaglie d’oro consecutive nella prova individuale grazie a una ferocia agonistica fuori dal comune.

Ora la sfida tra Italia e Francia (che ci vede avanti nel medagliere all time) si ripropone sotto le alte volte del Grand Palais di Parigi. Ma in una scherma sempre più globale e in cui la prestanza fisica ha spesso soppiantato la tecnica pura e l’ortodossia dei gesti, a dire la loro ci saranno anche le scuole di diversi paesi asiatici e degli Usa. Con chance di medaglia un po’ in tutte le specialità e competizioni, l’Italia schiera le punte di diamante nel fioretto con Tommaso Marini e Arianna Errigo. Marini è l’ultimo esponente di altissimo livello della scuola jesina, mentre la portabandiera italiana ha dato l’ennesima dimostrazione della sua classe cristallina l’anno scorso, quando è stata capace di vincere l’argento ai mondiali di Milano solo quattro mesi dopo aver partorito due gemelli.