Con Parigi fanno dodici partecipazioni alle Paralimpiadi, tra estive e invernali, gareggiando in sport diversi, dai 100 metri alla maratona, dallo sci nordico al paracycling nella specialità handbike, vincendo tre medaglie d’oro, cinque d’argento e sei di bronzo. Se non è un record, questo cos’è?

Stiamo parlando di Francesca Porcellato, 53 anni, di Castelfranco Veneto, ma residente nel veronese, che alla prossima Paralimpiade di Parigi, in programma dal 28 agosto a l’8 settembre, sarà certamente tra le protagoniste per una medaglia olimpica.

Dodicesima partecipazione alle Paralimpiadi. Chi meglio di lei può dirci com’è cambiata la manifestazione nel tempo, ma soprattutto la percezione del pubblico verso questo evento…
Rispetto alla mia prima Paralimpiade di Seul (Corea del Sud) nel 1988 è cambiato tantissimo l’approccio dei mezzi di comunicazione e delle persone verso questo evento e gli atleti. Nel 1988 i giornali e le televisioni non facevano servizi e le notizie arrivavano tramite televideo e alcuni giornali locali perché noi atleti conoscevamo qualche giornalista del paese dove abitavamo che faceva un articolo basandosi sui nostri racconti. Come numero di partecipanti, invece, era uguale a oggi. Ora, grazie anche allo sdoganamento della parola disabilità, c’è più integrazione perché i disabili escono di casa mentre all’epoca non uscivano, ma anche grazie al grande lavoro svolto dallo sport in generale. C’è stato, insomma, un cambiamento culturale. Adesso la gente ci segue per le nostre prestazioni sportive guardando il gesto atletico, mentre prima era interessata a cosa ci era successo e in quale modo avevamo acquisito la disabilità. Ho lavorato molto anch’io per giungere a questo traguardo impegnandomi con incontri nelle scuole e in giro per l’Italia. Noi siamo atleti a tutti gli effetti e vogliamo fare delle grandi prestazioni indipendentemente dalla nostra disabilità.

A 53 anni gareggerà nella specialità handbike con delle ragazzine. Cosa dirà loro?
Tra di noi ci conosciamo bene perché facciamo tante gare assieme a livello internazionale. In quel momento siamo solo avversarie. L’età non conta, nel senso che è vero che faccio più fatica di loro, ma ho molta più esperienza.

Quando la vedremo in azione a Parigi e su quale percorso?
Le gare si terranno il 4 e 5 settembre a Clichy-sous-Bois che dista 30 chilometri da Parigi. Il quattro ci sarà la cronometro di 15 chilometri e il cinque (giorno in cui compirà 54 anni, ndr) la gara in linea di 45 chilometri. Io parteciperò a entrambe.

Qual è l’obiettivo che si è prefissata di raggiungere?
Fare il meglio possibile (sorride, ndr). Metterò in campo tutto quello che ho per migliorarmi e tirerò fuori tutto quello che ho nelle braccia. Una volta puntavo molto in alto, ma adesso con queste avversarie così giovani diventa più difficile. Sono già soddisfatta di essermi qualificata alla mia dodicesima Paralimpiade.
Ma è una delle favorite, visto che di recente ha vinto la Coppa del Mondo 2024 di paracycling…
È vero, ma io sono scaramantica. Nel circuito di gare per la Coppa del Mondo sono quasi sempre salita sul podio dimostrando di essere ancora competitiva. È stata la ciliegina sulla torta.

Nella sua lunghissima carriera, qual è stata la vittoria che le ha regalato più gioia?
Tutte le mie medaglie non sono mai state scontate, ma sudate. Una però mi è rimasta nel cuore: la medaglia d’oro a Vancouver (Canada) nel 2010. Ero appena passata dall’atletica leggera allo sci di fondo e in quattro anni sono riuscita a riprogrammarmi in una nuova disciplina dimenticando tutte le sensazioni della vecchia. È stata una grandissima soddisfazione. Non è stato facile, ho passato dei momenti bellissimi, ma anche altri difficilissimi. Un bellissimo oro.

Perché la chiamano la «rossa volante», che è anche il titolo del suo libro uscito da poco edito da Baldini+Castoldi?
Io ho i capelli rossi e a darmi questo soprannome è stato uno speaker durante una maratona che mi ha visto arrivare al traguardo sorridente e mi ha chiamato la rossa volante. Io ero sorridente per aver avevo terminato il «martirio» dei 42 chilometri della maratona. Ogni tanto le vincevo anche (ha vinto quelle di New York, Londra, Boston e Parigi, ndr). Mi piace questo soprannome e me lo tengo stretto, ci sono affezionata.

Lei è in carrozzina sin da piccolissima, aveva appena 18 mesi. Essere oggi una campionessa è una forma di riscatto?
Non è un riscatto il mio, era il desiderio di correre veloce e questo l’ho sentito fin da quando mi hanno dato la mia prima carrozzina. Penso, però, che se fossi stata in piedi avrei avuto la stessa voglia di fare perché è insito nel mio carattere la voglia di fare. Non so stare ferma, sono sempre in movimento, sono una grande appassionata di tutte le attività sportive.

Sportivamente parlando, non sarà sempre stato tutto rose e fiori…
Nella mia lunghissima carriera – l’ho iniziata che avevo 17 anni e oggi ne ho 53, gareggiando in tre sport diversi – ho avuto degli alti e bassi. Ci sono stati dei momenti che ho pensato che non ce l’avrei più fatta a gareggiare. Ho però la fortuna di avere un carattere determinato, caparbio e anche quando tocco il fondo so risalire. Vedo sempre il lato positivo delle cose. Questo carattere mi ha aiutato tantissimo nello sport, ma mi aiuta ancora di più nella vita di tutti i giorni. Perché la vita è come una strada di montagna: una salita con tante curve, ma anche con delle discese.

Parlando di handbike non posso non chiederle di Alex Zanardi che è stato anche il suo capitano nella nazionale di questa specialità. Quanto manca la sua presenza in gara?
Tantissimo. Ci manca in diversi ruoli: come capitano della squadra, come compagno di squadra, come portavoce del movimento e soprattutto come amico.

Finito con Parigi, il giorno dopo l’obiettivo sarà Los Angeles 2028?
Non lo so! Dodici paralimpiadi sono un bel numero e qualcuno dice che è anche un record, ma io non l’ho mai verificato, non mi interessa. Intanto godiamoci Parigi e poi ci pensiamo.