Saranno ventidue gli sport presenti nel programma delle Paralimpiadi di Parigi, dal 28 agosto al 9 settembre. Atletica, badminton, bocce, calcio a 5, canottaggio, ciclismo su strada e su pista, equitazione, goalball, judo, nuoto, pallacanestro, canoa, triathlon, pesistica, rugby, scherma, sitting volley, taekwondo, tennis, tiro a segno, tiro con l’arco.

Di questi, goalball, judo e calcio a 5 B1 sono dedicati alle persone con disabilità visiva, mentre atletica, ciclismo, triathlon e canottaggio, prevedono gare con equipaggi composti da persone con diverse disabilità.
Il baseball e la scherma non vedenti, invece, alle Paralimpiadi non sono ancora presenti: i due sport, creati in Italia, stanno costruendo da anni un percorso per prendervi parte.

Il primo nasce a Bologna, dall’idea di due ex giocatori della Fortitudo Baseball, Alfredo Meli e Umberto Calzolari. Marco Corazza, allenatore della squadra Roma All Blinds, racconta che i due, incontrati alcuni allievi dell’Istituto per ciechi Cavazza di Bologna, ne portarono due sul campo per sperimentare il gioco. Alla fine della prova, uno di loro prese Meli per le spalle e gli disse «ti rendi conto che per la prima volta in vita mia ho corso?».

Così Meli e Calzolari andarono avanti, con varie prove e piccole modifiche, fino alla prima partita ufficiale nel 1994, quando esistevano due sole squadre. Oggi, il campionato ne conta undici e a settembre si disputerà anche la Coppa Italia.

Un esperimento quasi casuale del Maestro Giancarlo Puglisi, nel 2010 a Modica, dà inizio alla pratica della scherma non vedenti.

Eseguendo un esercizio a occhi chiusi, per migliorare le percezioni sensoriali, un’allieva gli propose di coinvolgere un amico con disabilità visiva. Il passaparola aumentò la presenza di persone cieche o ipovedenti alle lezioni di prova. Negli anni, insieme, atleti e maestro, elaborano le regole dello sport. Attualmente sono 23 le società schermistiche in Italia che offrono la possibilità di praticarlo, e circa 50 gli atleti.

L’arma degli atleti con disabilità visiva è la spada, ma rispetto alla spada olimpica, che non prevede convenzione, è necessario parare, colpire la lama dell’avversario, perché il punto sia valido. Una sottile linea metallica, che funziona come guida, è apposta sulla pedana, in modo che gli atleti si concentrino solo sull’azione. L’apparecchio elettronico che segna i punti emette due suoni differenti a seconda di chi colpisce l’avversario, affinché gli schermidori in pedana capiscano subito chi ha toccato, ma anche per far sì che qualsiasi persona con disabilità visiva possa seguire l’assalto.

Per il baseball «l’obiettivo è partecipare alle Paralimpiadi del 2028 a Los Angeles» dice Corazza, che è anche manager della Nazionale e membro di un comitato tecnico che nello scorso quadriennio olimpico si è occupato di diffondere lo sport all’estero. Al momento, lo sport è presente a Cuba, negli Stati Uniti, in Pakistan, in Cina, in Gran Bretagna, in Germania, in Francia e nei Paesi Bassi.

Il primo campionato Europeo si è disputato a Bologna nel 2023. «Vedere squadre da tutta Europa che corrono sul campo e poi si abbracciano a fine gara» racconta Corazza «è stato molto emozionante».
Roberto Remoli, schermitore e presidente dell’associazione Roma 2000, che si occupa della pratica e della promozione dello sport per i disabili visivi, racconta che, grazie al programma Erasmus + Sport, dal 2018 Francia, Portogallo, Spagna e Svezia, insieme all’Italia, hanno tentato di strutturare la disciplina e stabilire un regolamento comune per costituire un circuito internazionale.

Ma per entrare nel programma Paralimpico è necessario che l’attività sportiva sia praticata in tutti i continenti. «Lo sport non vedenti è cresciuto moltissimo» dice Remoli «forse anche alcuni sport impensabili, c’è persino arrampicata sportiva, equitazione, ciclismo».

Dal 2003, con la creazione del Comitato Italiano Paralimpico, equivalente del Coni, ma anche con l’intuizione di alcune federazioni, come la Federazione Italiana Scherma, di accogliere atleti non vedenti, con disabilità motorie e intellettive e relazionali e inserirli nelle attività agonistiche.

«Quando si fa sport con la disabilità» racconta Corazza «oltre all’aspetto tecnico c’è una grande componente psicologica, trovandosi di fronte a molte situazioni diverse». Della dimensione psicologica parla anche Martina Pasquali, giocatrice della squadra Roma All Blinds, che ha scelto il baseball per «la sensazione di libertà nello spostarsi e muoversi per il campo, che dà sicurezza anche nella vita reale».
Il baseball per ciechi, raccontato da chi lo insegna e lo pratica, è uno sport completo, che permette agli atleti di correre, buttarsi, lanciare e parare una palla che contiene dei sonagli. Il gioco aiuta a sviluppare diverse capacità, tra le quali quella di concentrarsi e isolare alcuni suoni, per non farsi distrarre da altri.
Pasquali, che è ipovedente, racconta di essere autonoma nella vita quotidiana, ma nel baseball, come nella scherma, i giocatori sono tutti bendati. «Essere autonoma anche al buio» prosegue Pasquali «in una situazione non usuale, restituisce fiducia verso la realtà che ti circonda».

Eppure, l’autonomia non è scontata. Silvia Tombolini, schermitrice e campionessa italiana nel 2024, che sogna di portare la scherma non vedenti a Los Angeles, e di fare parte della squadra italiana, racconta delle difficoltà e delle barriere che una persona con disabilità visiva deve affrontare per accedere allo sport. A volte si rende necessaria la presenza di un accompagnatore, facendo crescere i costi. «Le istituzioni devono investire in soluzioni urbanistiche, e le associazioni di categoria potrebbero offrire servizi di accompagnamento, o trovare metodi per facilitare la vita di tutti i giorni, in cui lo sport deve rientrare», conclude Tombolini.

«Rendere il contesto accogliente per chi non vede, significa renderlo accogliente per tutti» sottolinea Pasquali. E nel descrivere il baseball, l’atleta racconta «per fare punto è la squadra che ti spinge, tu batti e corri, arrivi in seconda, il giocatore dopo di te deve battere e farti arrivare alla terza e poi in casa base». Gli atleti non sono tutti allo stesso livello agonistico, ma mettendo insieme le diverse caratteristiche, «chi batte bene, chi corre bene, chi riesce a sentire la palla anche se la lanciano così raso che non si sente, ognuno dà del suo e aiuta la squadra a muoversi come un organismo unico».

Come in un gioco di squadra, dunque, ripensare insieme gli spazi sportivi e urbani affinché si possa avere uno sport «libero e aperto a tutti» come auspica Remoli «senza dover fare fatica per trovare un impianto che ci accetti, e che non abbia barriere architettoniche fisiche o sensoriali», in Italia e nel resto del mondo, fino a Los Angeles