A meno di un anno dalle elezioni presidenziali messicane, della “quarta trasformazione” tanto propagandata dal presidente Andrés Manuel López Obrador è difficile trovare tracce significative, a dimostrazione di quanto avessero ragione gli zapatisti a prenderne fin da subito le distanze. Dalla crescente militarizzazione all’attività della criminalità organizzata fino all’espansione della frontiera estrattivista, la presidenza Amlo non ha operato infatti alcuna svolta. Né è possibile interpretare in chiave di rinnovamento la realizzazione di opere infrastrutturali ambiziose quanto devastanti, perseguite dal suo governo in perfetta continuità con la strategia neoliberista di controllo e saccheggio dei territori propria delle tanto vituperate amministrazioni che lo hanno preceduto.

DIETRO quelle opere, assicuravano non a caso gli zapatisti, «si nasconde la morte»: dal Tren Maya, chiamato a collegare le principali aree turistiche di cinque stati del Sudest messicano (Yucatán, Campeche, Quintana Roo, Chiapas e Tabasco) attraverso la foresta umida tropicale mesoamericana, fino al Corredor Transístmico, la grande infrastruttura ferroviaria pensata per mettere in collegamento gli oceani Pacifico e Atlantico, offrendo un «canale terrestre» alternativo al canale marittimo di Panama, secondo Amlo «ormai saturo», e oltretutto in crisi profonda a causa della scarsità d’acqua.

UN’OPERA, quest’ultima, di cui Amlo ha inaugurato il 22 dicembre il primo tratto, da Salina Cruz (Oaxaca) a Coatzacoalcos (Veracruz), parlando di un «progetto sognato per secoli da presidenti, re, politici e governatori» e diventato realtà sotto il suo governo, allo scopo di garantire «alle nuove generazioni un futuro pieno di possibilità di sviluppo». Tanto più che, lungo il percorso ferroviario, verranno costruiti dodici poli industriali in settori strategici per l’economia messicana.

A questo futuro tutto rosa, però, non crede affatto l’Assemblea dei popoli indigeni dell’Istmo di Tehuantepec, che definisce il treno interoceanico «un progetto segnato da corruzione, menzogne, violenza e saccheggio», mirato a «offrire al paese una posizione strategica» all’interno delle rotte del commercio internazionale, ovviamente in funzione degli interessi del grande capitale.

E le stesse critiche investono anche un altro progetto emblematico del mandato di Amlo, il Tren Maya – o meglio, come lo definiscono i popoli indigeni, il «treno erroneamente definito maya» – di cui appena una settimana prima, il 15 dicembre, era stato inaugurato il primo tratto, quello da Campeche a Cancún (473 chilometri, sui 1.554 previsti, percorsi in sei ore a un costo che varia tra i 70 e i 100 dollari), a cui è seguita il 31 dicembre l’apertura del secondo tratto, da Cancún a Palenque, dove i binari si collegheranno alla ferrovia interoceanica.

«Non esageriamo dicendo che attualmente non esiste un’opera così al mondo e l’abbiamo realizzata a tempi record», ha dichiarato il presidente, liquidando come politicume di «pseudodifensori dell’ambiente» le aspre denunce dei popoli originari e dei movimenti ambientalisti riguardo alle ripetute espropriazioni di terreni, alla distruzione di oltre 2.500 ettari di foresta, ai danni alla rete di fiumi e cenote (grotte carsiche collassate che hanno dato luogo a piccoli laghi circolari o lagune) e alle ricadute della costruzione di centri commerciali, hotel e resort su ecosistemi fragili e dalla straordinaria biodiversità e sul patrimonio culturale dei popoli indigeni.

E CIÒ MALGRADO le categoriche assicurazioni da parte del presidente, nel novembre del 2018, sul fatto che la costruzione del treno non avrebbe comportato neanche il taglio di un albero e meno che mai espropriazioni. Dopo cinque anni di continui procedimenti giudiziari sulle denunce di violazione delle leggi ambientali e dei diritti delle comunità indigene, mentre i costi non hanno fatto che lievitare fino alla cifra approssimativa di 28 miliardi di dollari, «si può dire – ha denunciato l’Assemblea dei difensori del Territorio Maya Múuch’ Xíimbal – che questa è stata una delle più grandi, monumentali menzogne del sessennio, una frode alla nazione».