Il ministero della Giustizia è parte civile o civilmente responsabile, nel processo contro i 108 agenti e dirigenti penitenziari accusati di violenze e torture ai danni dei detenuti di Santa Maria Capua Vetere? Sarà il Gup Pasquale D’Angelo a decidere, il prossimo 11 gennaio, se accettare o meno, tra le tante richieste di costituzione di parte civile, quella presentata ieri in apertura dell’udienza preliminare dal dicastero di Marta Cartabia, ministra che insieme al premier Draghi si recò personalmente nel carcere sammaritano in segno di condanna, quando la bomba delle videoregistrazioni esplosa sui media impedì la consueta linea negazionista delle istituzioni. Alcuni dei 200 detenuti che avrebbero subito violenze, infatti, hanno annunciato ieri tramite i loro legali che intendono citare per danni il ministero in sede civile.

L’11 GENNAIO 2022 sarà solo un’altra tappa di quella che si prospetta come una lunga udienza preliminare volta a decidere se rinviare a giudizio gli indagati a cui i pm contestano, a vario titolo, i reati di tortura, lesioni, abuso di autorità, falso in atto pubblico per depistaggio, e cooperazione (per 12 indagati) nell’omicidio colposo del detenuto algerino schizofrenico Lakimi Hamine, morto un mese dopo essere stato anch’egli vittima di quell’«orribile mattanza» con cui numerosi agenti vollero punire i rivoltosi del 6 aprile 2020. È la prima volta, da quando venne introdotto nel 2017, che nel nostro Paese viene contestato il reato di tortura, questa volta a quasi cinquanta pubblici ufficiali.

I TEMPI sono lunghi, come è stato lungo perfino il primo atto ieri – quasi cinque ore -, per via dell’enorme mole di avvocati (circa 200), degli imputati presenti (tra gli altri l’ex comandante della Polizia Penitenziaria Gaetano Manganelli, attualmente ai domiciliari) e delle parti offese, tanto da dove impegnare l’aula bunker del tribunale di Santa Maria Capua Vetere, confinante con il carcere delle violenze. Anche il Garante nazionale dei detenuti Mauro Palma e quello regionale della Campania, Samuele Ciambriello, che ha denunciato per primo le violenze permettendo le indagini della magistratura, si sono costituiti parte civile, come pure le associazioni Antigone, Abusi in divisa e Carcere possibile. Oltre naturalmente ai detenuti e le loro famiglie: finora solo 60 delle 178 parti offese individuate ne hanno fatto richiesta. Ma c’è tempo fino a inizio dibattimento.

PER IL MOMENTO sono state prorogate le misure cautelari per i 20 agenti ancora in arresto domiciliare (tra cui gli ufficiali della penitenziaria Pasquale Colucci, Anna Rita Costanzo e Gaetano Manganelli) come richiesto dai pm Alessandro Milita, Daniela Pannone e Alessandra Pinto. Ma il Gup potrebbe decidere di revocarle nei prossimi giorni. Lo scorso 28 giugno il gip Sergio Enea aveva emesso 52 misure cautelari: carcere per 8 agenti, 18 ai domiciliari, tre obblighi di dimora e 23 sospensioni dal lavoro per poliziotti penitenziari e funzionari quali Antonio Fullone, che all’epoca dei fatti era capo del Dap ed è ancora interdetto.

Fullone è, insieme con il comandante Manganelli, tra i 12 indagati per la morte di Lakimi Hamine, il cui fascicolo inizialmente era stato stralciato dai Pm ma, dopo le denunce dell’associazione Antigone e l’interrogazione parlamentare di Riccardo Magi (+ Europa) alla ministra Cartabia, il caso del detenuto malato psichico morto il 4 maggio 2020 dopo essere stato tenuto in isolamento dal giorno delle violenze è stato reintegrato.

EPPURE, ANCORA oggi nel carcere sammaritano qualcosa ancora non deve andare per il verso giusto. Almeno stando a quanto denunciato ieri da Ciambriello e dalla garante provinciale dei detenuti di Caserta, Emanuela Belcuore, che «dopo aver appreso da un comunicato stampa di un’associazione sindacale di polizia penitenziaria e aver letto su alcuni siti e quotidiani che era in atto una rivolta» nell’istituto, sono stati costretti a smentire. «Nessuna rivolta nel carcere di Santa Maria tra ieri e oggi», hanno scritto ufficialmente dopo essersi recati personalmente all’interno dell’istituto.