Clara Lofthus non è esattamente a proprio agio negli ambienti del potere norvegese dove l’etichetta e i sotterfugi dominano sulla spontaneità e le motivazioni, anche morali. Eppure, malgrado provenga da un paesino rurale dell’estremo nord del Paese, è arrivata ai vertici delle istituzioni nazionali: da pochi giorni è stata nominata ministra della Giustizia. La sua difficoltà ad adattarsi al clima dell’ufficialità di Oslo non è però certamente la sfida più ardua che Clara dovrà affrontare, visto che, ben prima di intraprendere la carriera politica, la giovane donna ha iniziato a seminare cadaveri lungo il proprio percorso.

Dopo l’esordio nel noir con Fiordo profondo (Carbonio, 2020), che vede già Clara tra i protagonisti – il manifesto 5 dicembre 2020 -, Ruth Lillegraven torna con un romanzo spiazzante, dalle atmosfere torbide, dove il confine tra il «bene» e il «male» è oggetto di un’incessante indagine prima di tutto interiore. Sangue del mio sangue (Carbonio, pp. 320, euro 17, traduzione di Andrea Romanzi) iscrive la 44enne poeta e scrittrice tra le voci più innovative e stimolanti del nuovo noir norvegese.

Un ritratto della scrittrice firmato da Ann Sissel Holthe

Nel Paese che ha dato i natali ad una scrittrice come Anne Holt, ministro della Giustizia tra il ’96 e il ’97, lei crea un personaggio che è sia responsabile di quel dicastero che una serial killer: una provocazione?
Mi piacerebbe dire di sì, perché questa è una lettura divertente della cosa, ma devo ammettere che ad ispirarmi più di tutto è stato il lavoro di ghostwriter che ho svolto per anni per diversi ministri dei Trasporsi norvegesi. È quell’esperienza diretta dell’ambiente del potere che mi ha fatto pensare che sarebbe stato interessante scrivere un noir che coinvolgesse figure di primo piano del Paese. Inoltre, la sola idea che ci sia un’assassina ai vertici della Giustizia fa sufficientemente paura da meritare un libro. La cosa davvero bizzarra, e se si vuole ironica, anche se in modo sinistro, è che dopo che ho iniziato a pubblicare i noir con Clara come protagonista, alcuni ministri della Giustizia hanno cominciato ad avere guai seri con la legge: una novità per la Norvegia. A volte la realtà è più imprevedibile della fantasia.

Il personaggio di Clara interroga i lettori: da un lato appare come un’assassina determinata, dall’altro, in questo secondo romanzo, si mostra fragile, è vittima del rapimento dei propri figli. Come stanno le cose?
In lei convivono questi e altri aspetti ugualmente contraddittori, anche se io faccio sempre una certa fatica a definirla tout-court come un’assassina, malgrado sia così nei fatti. Il punto è che lei uccide, e non solo una persona, ma una lunga serie di individui, perché pensa che sia necessario e giusto farlo, lo fa per evitare che altri soffrano, per tutelare soprattutto i più piccoli o per vendicare bambini che sono stati uccisi o hanno subito violenze. Credo sia per questo che molti lettori e, devo ammetterlo, in parte anche io stessa, proviamo per il suo personaggio una certa simpatia. Non si tratta di un caso: voglio che chi legge i miei romanzi si senta coinvolto in questo sentimento di ambivalenza. Clara è una figlia amorevole, una madre amorevole, una ministra che vuol fare il bene e solo le cose «giuste». Ma è anche una persona oscura e pericolosa. Credo che la maggior parte delle persone non sia del tutto «nera» o del tutto «bianca», ma che in tutti prevalgono i diversi toni del grigio, dell’incertezza tra una polarità e l’altra. Anche se lei, ovviamente, incarna una versione estrema di tutto ciò.

Lei ha spiegato che ad ispirare il profilo di Clara sono state, almeno in parte, alcune figure femminili che riuniscono caratteristiche tra loro anche molto distanti, protagoniste di note serie tv. Come si è andato definendo questo personaggio?
Ho sempre seguito diverse serie, tra quelle che definirei «di maggiore qualità» e così, pian piano, ho immaginato di creare una figura femminile che traesse ispirazione dai personaggi che mi avevano attratto o che avevo amato di più. Penso alla dura, ma altrettanto fragile e ferita Carrie di Homeland (un’agente della Cia che soffre di un disturbo bipolare, ndr). O a Claire di House of cards, che interpreta la moglie del presidente degli Stati Uniti. Mi sono ispirata prima di tutto a loro due e Clara deve perfino il suo nome a questi due personaggi. Poi, potrei citare Elizabeth di The Americans: una spia russa che conduce una doppia vita con il marito negli Stati Uniti degli anni Ottanta. Si tratta di figure complesse, allo stesso tempo dolci e malvagie. Donne molto intelligenti, capaci, forti, quasi dei «supereroi» al femminile, ma il cui percorso fa emergere anche una serie di punti deboli. Proprio come succede a Clara.

I suoi romanzi mostrano un volto inedito della Norvegia. In questo caso, una sorta di mondo parallelo costituito da fiordi e montagne, dove è cresciuta Clara, rispetto ai palazzi del potere, la buona società e i media di Oslo. Un modo per raccontare le contraddizioni del suo Paese?
Fin dall’inizio ho fatto una scelta precisa: volevo raccontare il contrasto tra l’ambiente povero e rurale, sebbene immerso in una natura meravigliosa, dove Clara ha le proprie radici, e quello urbano, privilegiato e legato al potere dove si trova da adulta. Allo stesso modo, in entrambi i romanzi di cui lei è protagonista l’immagine efficiente e di benessere della Norvegia si deve confrontare con il fenomeno degli abusi sui minori che coinvolgono tutte le classi sociali. Del resto, anche il bellissimo fiordo cui è legata una parte dell’infanzia di Clara nasconde in realtà dei terribili segreti.

Una delle vicende del romanzo si svolge nei sotterranei di Oslo, cunicoli che rappresentano un retaggio della Guerra fredda ma che sembrano godere ancora di una vita propria rispetto a quella che si svolge in superficie. Uno ambiente fatto apposta per il noir?
Senza dubbio. Un mondo sotterraneo vecchio, polveroso e segreto è a un tempo affascinante e misterioso: un luogo perfetto per un romanzo o per un film. Lì sotto la vita scorre (o si ferma) parallela a quanto avviene nella città in superficie. Questo riguarda ciò che avviene al di sotto delle strade di Oslo, nella profondità di un fiordo come anche negli abissi dell’animo umano. Non solo, quei cunicoli sono stati costruiti in parte per resistere ad un eventuale attacco russo negli anni della Guerra fredda, ma sotto la città, che nel frattempo si è sviluppata ad un livello stradale più alto, c’è un po’ di tutto, come una ex fabbrica di salsicce dismessa da decenni ma ancora riconoscibile dove ho ambientato una scena particolarmente dura del romanzo. Si tratta di luoghi particolarmente cari all’immaginazione dei norvegesi. Un amico scrittore, che è anche il mio editor, Aslak Nore, ha ambiento il suo ultimo libro nei cunicoli costruiti durante la Seconda guerra mondiale o la Guerra fredda.

Leif, il padre di Clara, ha fatto parte del contingente norvegese dell’Onu in Libano, Stian, l’agente dell’intelligence che protegge la ministra, ha combattuto in Afghanistan. Entrambi portano su di sé i traumi della guerra: un altro aspetto inatteso della Norvegia di oggi.
In effetti è un elemento importante, e poco noto all’estero, della nostra società. Molti soldati norvegesi sono stati impiegati in Libano e in Afghanistan, come anche in diversi altri luoghi. E negli ultimi anni sono emersi tutti i problemi e il malessere che questi soldati hanno conosciuto una volta tornati in patria e anche a distanza di molto tempo dai fatti. Si tratta di vicende molto dolorose se non tragiche. Proprio Aslak Nore ha fatto parte di queste missioni internazionali e ha attirato la mia attenzione sui fenomeni di stress post-traumatico di cui molti di questi reduci soffrono. Qualcosa del genere era già successo anche a chi aveva combattuto nella Seconda guerra mondiale. Avvicinandomi a queste tematiche volevo indagare anche le conseguenze che tutto ciò ha sui figli e perfino i nipoti dei soldati, proprio come accade nel rapporto tra Leif e Clara. Si tratta di ferite profonde, anche se non visibili, che influiscono su di noi e anche su chi amiamo.

Lei è poeta e ha scritto a lungo racconti per bambini, cosa ha portato di questa attitudine narrativa nel passaggio al noir?
Sono cresciuta in una casa dove i gialli tascabili stavano fianco a fianco nella libreria con i testi di poesia e le opere teatrali e ho sempre letto di tutto. Continuo a scrivere poesie e libri per bambini, ma sognavo da sempre di cimentarmi con il romanzo poliziesco. E alla fine ce l’ho fatta. Di qualunque cosa scriva, ciò che mi importa davvero è che si tratti di una buona storia, raccontata in una buona lingua e con un buon ritmo.