Una settimana fa si era verificata una situazione di certo peculiare, se non del tutto inedita: i movimenti di lotta per la casa, adusi a contrapposizioni senza sconti dettate dalla forza delle necessità, si erano presentati in piazza del Campidoglio per chiedere che il consiglio comunale approvasse il Piano casa che la giunta Gualtieri stava preparando.

La notizia di ieri è che il «Piano strategico per il diritto all’abitare 2023-2026 di Roma Capitale» (questo è il nome per esteso del provvedimento) è pronto. Il documento è stato presentato dal sindaco Roberto Gualtieri e dall’assessore al patrimonio e alle politiche Abitative Tobia Zevi. Il Piano, hanno spiegato, ha l’obiettivo di rafforzare le politiche dell’amministrazione per garantire che tutte e tutti, in particolare agli aventi diritto in materia di edilizia residenziale pubblica, di disporre di una casa o di non perdere quella dove abitano. Punta a soddisfare entro il 2026 i bisogni abitativi dei circa 3000 nuclei che attualmente compaiono in graduatoria per una casa popolare, e che si trovano in situazione di maggiore fragilità.

I numeri sono questi: 150 mila persone risultano in emergenza abitativa, dei quali, spiega Tobia Zevi «40 mila in graduatoria di cui circa un quarto in emergenza, 15 mila sotto sfratto, 45 mila beneficiari del contributo affitto, 5 mila nei campi rom, 1500 nuclei nei residence, 10 mila senza fissa dimora, e 15-17 mila nelle occupazioni». Come farà l’amministrazione a procedere verso il fantomatico «scorrimento delle liste»? «Acquisteremo nuovi alloggi, velocizzeremo le procedure di recupero e assegnazione e aggiorneremo più velocemente le graduatorie», è la soluzione di Palazzo Senatorio.

Il Piano prevede di recuperare le case occupate abusivamente o inutilizzate, tutelando eventuali situazioni di fragilità. Ma attenzione, l’amministrazione Gualtieri mostra di saper fare ciò che l’informazione retequattrista e la precedente giunta Raggi non sapevano o non volevano fare: distingue tra occupazioni criminali a scopo di sfruttamento e occupazioni portate avanti collettivamente e alla luce del sole dai movimenti sociali. A questo scopo ecco le quattro linee di intervento: il reperimento di alloggi per incrementare l’offerta di abitazioni, il rafforzamento dei programmi di recupero del patrimonio edilizio e dei progetti di autorecupero, la revisione delle misure di welfare abitativo, l’istituzione dell’Osservatorio della condizione abitativa a Roma e dell’Agenzia sociale per l’abitare.

Verranno salvate tre grandi occupazioni storiche, che hanno accolto forme di mutualismo, sperimentazione culturale e autogoverno. Si tratta dell’ex caserma di via del Porto Fluviale, di SpinTime in zona San Giovanni e di Metropoliz, sulla via Prenestina che ospita anche il Museo dell’Altrove. Grandi costruzioni con storie differenti, ma che tra qualche settimana, quando l’Assemblea capitolina darà il via libera definitiva al Piano casa, potremo dire essere tornate nella disponibilità del pubblico grazie all’azione dei movimenti e alle centinaia di persone che per anni le anno presidiate, ristrutturate e difese a loro rischio e pericolo.

Ci sono realtà che hanno acquisito un loro valore sul campo – dichiara il sindaco Gualtieri – Sono state portatrici di esperienze ma che allo stesso tempo stanno in una situazione non sostenibile. Non ci voltiamo dall’altra parte». Tra di esse non comparirà CasaPound, che nacque ormai vent’anni fa proprio allo scopo provocatorio di scimmiottare (e delegittimare) la storia delle occupazioni portate avanti dai movimenti sociali. «Dentro l’immobile occupato da CasaPound c’è un movimento che non rispetta la Costituzione e predica l’intolleranza – dice Gualtieri – Mi auguro che venga presto sgomberato, tutelando come sempre le persone fragili».