Nella monumentale biografia di Anne Egger su Robert Desnos, edita nel 2007 da Fayard, nel capitolo dedicato all’anno 1936, si legge: «Critico riguardo alle sue ultime opere e malgrado le molteplici attività intraprese, Desnos si impone da allora di comporre una poesia al giorno. Ai suoi amici, a Fraenkel che lo racconterà, “mostra una delle poesie che, ogni notte, prima di addormentarsi, si mette a scrivere verso l’una, l’ora che preferisce”». Non si tratta di una pratica riconducibile alla scrittura automatica, abbracciata in modo radicale durante il periodo di adesione al surrealismo, che sfocerà nell’espulsione collettiva del dicembre 1929, quando esce sulla «Révolution surréaliste» il Secondo manifesto. In risposta all’abiura di Breton viene diffuso il libello Un cadavre, ideato dallo stesso Desnos, dove la figura dell’artefice della beauté convulsive, immortalato con una corona di spine in testa, si accompagna agli improperi meno edificanti da parte dei suoi vecchi sodali: da «esteta da cortile» (Baron) a «leccapiedi» (Ribemont-Dessaignes), da «provocatore putrido» (Leiris) a «vescovo e papa» (Prévert). Quest’ultima intendeva essere una delle offese più pungenti, considerato l’acceso anticlericalismo serpeggiante nel movimento.

Il procedimento adottato era agli antipodi rispetto a quello intrapreso con i sommeils hypnotiques, attribuendo valore al concetto contrapposto di «veglia» (o dormiveglia) anziché a quello, originario, di sogno. D’altronde Desnos medesimo scriverà nella nota finale alla raccolta État de veille, pubblicata da Robert-J. Godet nel 1943, che tale pratica «doveva essere tentata. Certe sere la poesia si imponeva, si costruiva da sé nel corso della giornata. Altre volte, con il cervello vuoto, era un tema inatteso che guidava la mano invece del pensiero». Ma l’abitudine contratta non ha niente a che vedere con l’automatismo, essendo «ogni verso controllato e l’esigenza meccanica manifestandosi piuttosto nel ritmo, in una necessità d’assonanze e di forme primitive come quella delle terzine rimate».

Con Youki al n. 19 di rue Mazarine
Alcune poesie scaturite da questo singolarissimo tirocinio, opportunamente modificate, erano confluite nelle raccolte Fortunes, edita da Gallimard nel 1942, ed État de veille, oltre a una breve sequenza intitolata Les Portes battantes. Desnos conviveva dal luglio 1934 con Youki, precedentemente legata al pittore Foujita, al n. 19 di rue Mazarine, nel 6° arrondissement, che diventerà la sua roccaforte. Qui riceveva gli amici e si adoperava per la causa socialista dopo aver aderito al «Front commun», movimento creato da Gaston Bergery. L’anelito libertario di Desnos si riversava in questi «sproloqui» notturni, vergati con grafia sbrigativa in quaderni di scuola, nonché nell’attività pubblicistica e nel lavoro radiofonico (si pensi alla figura di Fantômas, ricavata dai romanzi di Allain e Souvestre, di cui Desnos curerà nel ’33 un’indimenticabile riduzione, affidando le musiche a Kurt Weill, il compositore dell’Opera da tre soldi di Brecht, e la resa teatrale ad Artaud che presta la sua voce gracchiante al protagonista).

Un lotto di quattro cahiers è stato acquisito dal collezionista Jacques Letertre a un’asta nell’autunno del 2020 e i relativi contenuti vengono ora pubblicati in un delizioso libriccino, intitolato Poèmes de minuit Inédits 1936-1940 (Éditions Seghers, pp. 176, € 15,00), arricchito da una densa prefazione di Thierry Clermont. È un ritrovamento importante nell’economia degli studi desnosiani che va ad aggiungersi alla recente edizione gallimardiana dei Sommeils, contenente testi e disegni relativi al periodo dei «sonni ipnotici», pratica in cui l’autore di Corps et biens eccelleva insieme al romanziere René Crevel all’inizio degli anni venti. L’insieme dei quaderni, provenienti dalla collezione di Geneviève e Jean-Paul Kahn, comprende 123 poesie senza titolo, di cui 86 inedite, qui presentate. Sono testi composti tra il 1936 e il 1938 che Desnos ha probabilmente ricopiato, forse rielaborato, a posteriori. Vengono esclusi gli specimina accolti nella fondamentale edizione delle Œuvres, curata nel ’99 da Marie-Claire Dumas nella collana «Quarto» di Gallimard che riporta integralmente e contestualizza le prove di Fortunes ed État de veille. Una selezione di questo lavoro era apparsa sottotraccia in un numero della rivista annuale dedicata a Desnos «L’Étoile de mer», fondata nel 1985 dal libraio Alain Brieux, nascosto dal poeta nell’appartamento di rue Mazarine al fine di sottrarlo allo STO (Service du Travail Obbligatoire) durante il periodo bellico.
La freschezza, la spontaneità che trapelano da queste poesie, accompagnate da qualche elementare schizzo, sono riconducibili alla lezione di Fortunes, la raccolta organica che segue Corps et biens (1930), dove erano confluiti i testi legati all’écriture automatique, a partire dai funambolismi sintattici di Rrose Sélavy che si proponeva di essere il risultato della comunicazione telepatica con il «marchand du sel» Marcel Duchamp, che si trovava allora a New York. Uno dei motivi ricorrenti del libro è quello linguistico: il procedimento dei calembours crea un effetto polisemico che avrà notevoli ripercussioni sulle indagini poetiche dei decenni successivi.

Adesione al destino dell’uomo
Se da un lato Fortunes rappresenta la naturale prosecuzione del discorso intrapreso con Corps et biens, dall’altro si pone come elemento di rottura nei confronti del Désordre formel ivi teorizzato a favore di una maggiore fruibilità e una più spiccata adesione al destino, singolo e collettivo, dell’uomo. Emblematici gli spunti che si ritrovano in Poèmes de minuit laddove lo sperimentalismo verbale scaturito dal retaggio surrealista (e, in parte, dadaista) viene smussato dai motivi pressanti della libertà e della condivisione: «J’aurai demain matin / Plus d’amis qu’aujourd’hui / Et bien que demain matin / La mort soit plus proche qu’aujourd’hui / Je serai demain matin / Plus vivant plus vivant qu’aujourd’hui» (27/3/’36).

Come si denota da questa strofa, l’economia delle parole impiegate si riduce esponenzialmente, creando, attraverso l’iterazione e l’interazione di determinati vocaboli, una musicalità che riecheggia ritornelli dal sapore vagamente infantile. Spesso sarà l’uso dell’anafora e dell’epifora a costituire una sorta di refrain che, nella sua essenzialità, avvicenda temi amorosi o civili di indubbio fascino. Alcune liriche sembrano rimandare, per la loro implicita delicatezza, all’esperienza campale delle filastrocche per l’infanzia Chantefables e Chantefleurs: il primo titolo uscì nel 1944 presso la Librairie Gründ di Parigi con disegni di Olga Kowalewsky, conoscendo una ristampa, illustrata da Christiane Larane, nel ’52, laddove appare, postuma, anche la silloge sui fiori. Dedicati al mondo animale e vegetale, questi ameni quadretti, improntati a una matissiana joie de vivre, sembrano affiorare nei Poèmes de minuit: «Ah la belle fleur / Belle fleur rouge dans le gazon / Une seule fleur rouge dans le gazon / On la nomme goutte de sang» (20/3/’36). Il gusto ludico per la scomposizione sintattica, associato a un’ironia dai tratti iconoclastici, produce divertissements che si segnalano per la loro deriva gergale: «Avec ta clarinette / Ton chapeau pedzouille / Et ton air bon enfant / Cucu larinette / Quand tu gazouilles / Tu es épatant» (21/2/’36). Alcuni componimenti lunghi e articolati sono stati elaborati a più riprese, riportando meticolosamente le date, come le quartine concepite fra il 3 e il 9 aprile 1936.

Ma è presente soprattutto quel rigore morale che caratterizza l’operato di Desnos dopo l’esperienza surrealista. Era stato arrestato dalla Gestapo, a causa della sua attività sovversiva, nel febbraio ’44 e deportato nei campi di Auschwitz, Buchenwald, Flossenbürg, Flöha, prima di essere costretto a raggiungere a piedi, in una delle cosiddette «marce della morte» collettive, la cittadella boema di Terezín. Il poeta André Verdet, deportato ad Auschwitz, ha lasciato una preziosa testimonianza in tal senso. Dopo provocazioni e angherie perpetrate da alcune SS di passaggio, Desnos si approssima a un capannello di compagni profondamente avviliti, vantandosi di essere un esperto chiromante. Li esorta uno a uno a resistere, trovando le parole giuste, il tono di voce più rassicurante. Accarezzando la linea della vita, quella vita che di lì a poco si sarebbe trasformata per molti di loro in un filo di fumo proveniente dai camini dei forni, esclama: «Consolati, avrai una vita lunghissima e felice». Lui stesso ebbe una vita lunghissima e felice, salvo morire di tifo, appena quarantacinquenne, un mese dopo la liberazione del campo di Terezín.