Bono, la rockstar impegnata. Brandon Tsay, il ventiseienne che ha disarmato Huu Can Tran, lo stragista di Monterey Park, il 21 gennaio scorso. I genitori di Tyrone Nichols, il ventinovenne ucciso il mese scorso dalla polizia di Memphis.

Paul Pelosi, il marito di Nancy, brutalmente aggredito in casa da squadristi di destra. Brandon Dunn, texano, padre del quindicenne Noah, morto la scorsa estate, una delle 108.000 vittime per overdose da fentanyl nel 2022. Lunghi applausi accolgono gli ospiti d’onore di Jill e Joe Biden nell’aula del Congresso che vede riuniti senatori e rappresentanti per il discorso del presidente sullo stato dell’Unione.

Raccontano l’America dell’altruismo, dell’eroismo. E quella delle vittime delle armi da fuoco e del cinismo di Big Pharma. Impersonificano i punti centrali del discorso presidenziale. Sono gli americani agli antipodi dell’America della violenza, dei fucili mitragliatori senza licenza, della polizia violenta e razzista, della sopraffazione, dell’America che diede l’assalto, il 6 gennaio 2021, a quello stesso parlamento dove ora siedono personaggi che la rappresentano degnamente. Come Marjorie Taylor Greene che, urlando, interrompe il presidente per dargli del «bugiardo» e un suo sodale che grida «è colpa tua» mentre Biden racconta la vicenda di Noah come esemplare della vera e propria epidemia da diffusione incontrollata di farmaci oppiacei come il fentanyl.

Della sacralità del Congresso e dei suoi riti, del rispetto delle istituzioni e dei suoi massimi rappresentanti non sanno che fare personaggi come Taylor Greene e gli altri repubblicani oltranzisti che ormai detengono, se non la maggioranza numerica dei gruppi al senato e alla camera, la maggioranza politica. E il controllo delle leve che contano. Il Congresso che ascolta per un’ora e 13 minuti il presidente è un parlamento ancora lacerato, specchio di un paese che non riesce più a ricomporsi e che anzi tende ad ampliare la divaricazione. Con il vento elettorale delle presidenziali che già spira a Washington non potrà che peggiorare.

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Di fronte a una simile platea il denso e politicamente impegnato discorso di Biden sembra una lista dei buoni quanto irrealizzabili propositi, specie quando va sul terreno della politica interna e delle misure economiche e fiscali volte a contrastare le disparità. È un discorso dalla forte impronta progressista, dal suono pertanto oltraggioso alle orecchie dei repubblicani, che sono maggioranza alla camera e possono fare ostruzionismo al senato. Specie quando va sul tema fiscale, con la proposta di quadruplicare la tassa sul riacquisto delle azioni societarie per incoraggiare investimenti a lungo termine .

«Nessun miliardario – scandisce Biden – dovrebbe pagare un’aliquota fiscale inferiore a quella di un insegnante o di un vigile del fuoco». E sottolinea che, nel 2020, 55 delle più grandi imprese Usa hanno ottenuto 40 miliardi di dollari di profitti, pagando zero di tasse federali.

Più che un address sullo stato dell’Unione, è in realtà la piattaforma di nuova candidatura presidenziale, ben sapendo, Biden, che, a dispetto dei suoi toni concilianti e inviti alla collaborazione rivolti all’opposizione, sarà molto improbabile trovare accordi sul suo piano fiscale, su norme che regolano l’acquisto e la disponibilità di armi d’assalto, sulla riforma della polizia, sulla necessità di difendere il welfare dai tagli proposti dai repubblicani e di ripristinare i diritti delle donne, in primis il diritto a interrompere la gravidanza. I capitoli principali del suo discorso sullo stato dell’unione. Altro che collaborazione, Biden sarà costretto a procedere a colpi di ordini esecutivi. Ed esercitando il diritto di veto presidenziale, se i repubblicani andranno anche oltre, e lo faranno, su certi terreni, come l’aborto.

Che sia stato un discorso elettorale, lo testimoniano anche il tono e un’esibita brillante forma psicofisica, come a lasciar cadere ogni insinuazione sulla sua inadeguatezza a proporsi per un secondo mandato. Un discorso, dunque, che segna l’inizio della sua nuova corsa presidenziale. In questo quadro la politica internazionale entra come tema secondario, com’è peraltro consuetudine in questa circostanza. Certo, lo è tutt’altro, nella realtà, un tema secondario. Tema quanto mai insidioso, anzi, con le crisi in corso con Cina e Russia. E con la stessa Europa, sul versante economico. Senza contare l’opposizione crescente alle sue politiche belliche, anche in ambienti non pregiudizialmente ostili ai democratici.

Come testimonia il lavoro d’indagine svolto da Seymour Hersh sulla vicenda dell’esplosione nei gasdotti sottomarini Nord Stream nel Mar Baltico. Secondo il premio Pulitzer per il giornalismo investigativo, si è trattato di un’operazione segreta ordinata dalla Casa Bianca e portata avanti dalla Cia, nel corso di un’esercitazione militare della Nato come copertura. «Completamente falso», commenta la Casa Bianca. Ci sarà di che discutere nei prossimi giorni, certo è che il «sottotesto» del coinvolgimento dell’amministrazione democratica nel conflitto russo-ucraino si sta rivelando un terreno minato, come quello principale su cui si troverà a correre Biden per la rielezione.