La parola più insidiosa per i lavoratori è «sovrapposizioni». Nella fusione Renault-Fca sono tanti i casi di produzioni di modelli della stessa gamma che rischiano – appunto – di sovrapporsi sul mercato.
Se i media mainstream continuano a definire Fiat Chrysler «un gruppo italo-americano» la realtà è ben diversa. Tralasciando la sede in Olanda, le fabbriche che sfornano auto ex Fiat rimaste nel belpaese sono soltanto sette, mentre molte di più sono negli Stati Uniti e Sud America. Anche includendo gli stabilimenti in Serbia (Kragujevac), Polonia (Tychy) e Turchia (Bursa), per Fca l’Europa è dunque secondaria.
Ben diversa la situazione del gruppo – realmente – francese. In Europa ha ben 20 stabilimenti e i 13 francesi sono difesi con i denti sia dal governo – che è azionista al 15 per cento – che dai sindacati.

QUALI STABILIMENTI ITALIANI rischierebbero di più dalle «sovrapposizioni» con i cugini d’oltralpe? La risposta non è semplice ma se la logica della alleanza-fusione è quella di rafforzare le debolezze di Renault e Fca e considerando che i francesi sono forti nelle gamme di mercato più basse – le cosiddette citycar come Clio – allora a rischiare di più rischia di essere quella Pomigliano che sforna la Panda. Nello stabilimento campano dove fu imposto per primo il modello Marchionne con lo scambio fra lavoro e diritti gli ammortizzatori sociali non si sono mai fermati e la piena occupazione per i 5mila operai è sempre stata una chimera. Gli scioperi dei mesi scorsi per l’aumento di turni coincidente con un picco (passeggero) di richieste di Panda per gli autonoleggi sono la dimostrazione di un clima difficile dentro la fabbrica. La promessa di destinare a Pomigliano il nuovo suv Alfa (si chiamerà Tonale a proseguire la toponomastica dei passi alpini) aveva risvegliato speranze che ora potrebbero raggelarsi come la primavera mai arrivata quest’anno.

ANCORA PEGGIO SEMBRANO MESSI gli stabilimenti che producono motori per i modelli di questa gamma: Cento (Ferrara) da dove escono i motori diesel ormai fuori mercato e Pratola Serra (Avellino) dove si producevano i propulsori a benzina per la Punto.

NON HANNO PROSPETTIVE più rosee nemmeno Melfi e Mirafiori. Se lo stabilimento lucano – il più grande in Italia con i suoi 7mila dipendenti – è quello che finora ha maggiormente goduto della fusione con Chrysler essendo l’unico che produce anche per gli States con la Jeep Renegade, ora il segmento dei suv medi sarà ben coperto da Renault con modelli come il Kadjar che viene prodotto a Palencia, in Spagna.

MIRAFIORI INVECE, DOPO un buon lustro di semichiusura, aveva riacquistato un minimo di speranza con l’annuncio della 500 elettrica. Ora però l’alleanza con un costruttore che – specie grazie ai giapponesi – è molto più avanti in questa tecnologia e nelle piattaforme per costruire auto elettriche mette tutto l’investimento a repentaglio. Il tutto per non parlare dei centri di ricerca degli enti centrali. Anche il nuovo suv Maserati a Cassino potrebbe essere ridiscusso e non è di certo una priorità.

Per tutte queste ragioni le rassicurazioni di Manley ed Elkann sul fatto che non sarà chiuso nessun stabilimento in Italia e che saranno confermati gli investimenti già annunciati appaiono parole al vento. Per impegni veri servirebbe l’intervento del governo. E la convocazione di Fca, cosa che non avviene da buon decennio. E che la Fiom Cgil continua a chiedere in solitudine visto che Fim Cisl e Uilm si accontentano di incontrare l’azienda.