Con la pubblicazione di Citizen. Una lirica americana nel 2014, opera divenuta rapidamente un caso letterario, Claudia Rankine si è imposta come una delle voci più lucide e riconoscibili nel dibattito sul razzismo americano, ravvivato in quegli anni anche dalla nascita del movimento Black Lives Matter. Nella raccolta, un ibrido di poesia e saggistica, Rankine indirizza la sua voce lirica e il suo sguardo critico a un’acuta disamina del ruolo egemonico della bianchezza all’interno delle complesse dinamiche razziali statunitensi.

Tanto come poetessa fortemente impegnata nel civile, quanto come professoressa all’Università di Yale, negli anni successivi alla pubblicazione di Citizen Rankine ha allestito una sistematica dissezione e denuncia dei meccanismi surrettizi – ma pervasivi, implacabili – della supremazia bianca. Nel suo contributo alla raccolta The Fire This Time, pubblicata nel 2016 a cura della scrittrice Jesmyn Ward, definiva la vita dei neri americani come interamente iscritta nel lutto, sospesa in una precarietà radicale dall’azione di un potere politico disposto a esporre una parte dei cittadini alla possibilità continua di una morte violenta.

Ora, Just Us Una conversazione americana (traduzione di Francesco Pacifico, 66thand2nd, pp. 360, € 24,00) raccoglie le più recenti riflessioni di Rankine, aggiungendo un tassello ulteriore e di sicuro interesse al suo lavoro di ricerca accademica e scrittura creativa. Se nei contributi passati il pessimismo dell’autrice veniva spesso risollevato da guizzi di speranza inaspettata, e da una fragile ma riconoscibile fiducia nella possibilità di una giustizia futura, questa volta il tono della raccolta vira decisamente verso un abisso di disperazione. Indicativa, fra queste pagine,  la scarsità di materiale strettamente poetico: Rankine sembra voler dedicare tutta la sua attenzione a una riflessione critica che, rispetto a Citizen, sembra aver acquisito contorni ancora più cupi. «Aiuto, aiuto», chiama di frequente l’autrice, dando la sensazione che si senta sempre più schiacciata in un angolo, soffocata come le vittime della violenza razzista contro la quale si scaglia.

Non a caso, parte della raccolta è dedicata a quelli che chiama «spazi liminali»: luoghi e situazioni di passaggio nei quali l’interazione sociale temporanea, forzata e spesso sbrigativa rivela con chiarezza inaspettata il palinsesto razzista sul quale si installano i rapporti umani dell’America odierna; ma anche e soprattutto gli spazi grigi di queste interazioni, le implicazioni sottaciute che Rankine analizza con lucidità e franchezza sconcertanti. La raffinatezza dell’analisi è come sempre eccelsa, ma l’autrice fatica a trovare una sintesi. O forse, questa volta non le è possibile ricavare una via d’uscita dal dedalo di oppressione sistematica che la circonda. Just Us è evidentemente un’opera dal valora pedagogico, ma la riuscita è più che mai avvolta nel dubbio. «Comprensione è cambiamento?» chiede Rankine in chiusura. «Non ne sono sicura», si risponde.