La frontiera, le terre di confine lontane dai grandi centri abitati protagoniste del nuovo film di Babak Jalali, Land – presentato nella selezione di Panorama – erano già state raccontate dal regista nel suo film d’esordio del 2009, Frontier Blues. In quel lavoro Jalali, nato in Iran ma cresciuto a Londra – dove vive – raccontava proprio la sua città natale al confine con il Turkmenistan e i suoi abitanti che, dice, «vivono molto più vicini a un paese straniero che a Teheran, la capitale del loro Stato». Con Land il regista – anche autore due anni fa di Radio Dreams – si sposta invece nella riserva indiana di Wolf Prairie nel New Mexico, e dunque sul doppio confine che separa le comunità native statunitensi dal resto del Paese e gli Stati uniti dal Messico.

Ha raccontato una storia profondamente americana, ma che sembra non interessare al cinema statunitense.

La prima cosa che mi sono chiesto quando ho iniziato a lavorare a Land è se fosse legittimo che un iraniano che vive a Londra raccontasse una storia simile, che non gli appartiene. È una domanda che non ha mai smesso di accompagnarmi durante la ricerca, la scrittura, le riprese. Ma per me era fondamentale parlare dei nativi americani di oggi, proprio perché nessun altro lo fa. È una storia statunitense, ma il film è quasi interamente europeo: tutti i produttori americani a cui ci siamo rivolti non hanno voluto partecipare.

Come è nato il progetto del film?

Sette anni fa ho letto un reportage su una riserva in South Dakota: le foto mi ricordavano la mia città natale in Iran, mentre le statistiche sulle condizioni di vita e il tasso di alcolismo mi hanno scioccato. Così nel corso dei quattro anni successivi ho passato dei mesi a fare ricerca in varie riserve degli Usa, e poi ho iniziato a sviluppare il progetto con il Torino Film Lab. Per trovare gli attori abbiamo fatto un casting aperto, non cercavamo necessariamente dei professionisti: James Coleman, che nel film interpreta Wesley, non aveva mai recitato prima. Lui stesso è stato un alcolista, e in generale anche tutti gli altri attori hanno vissuto questo problema, non personalmente ma attraverso parenti o amici.

Ancora una volta ha messo in scena una storia di confine.

Le città di frontiera mi hanno sempre affascinato, probabilmente perché io stesso ci sono nato. Ma anche perché sono luoghi di passaggio folli, selvaggi, terre di contrabbando – hanno un fascino che deriva proprio dall’assenza della legge. Ma negli ultimi decenni il problema posto dall’esistenza dei confini, dalle migrazioni, dal fatto assurdo che oltre una linea immaginaria si diventa stranieri è sempre più pressante.La comunità raccontata in Land è quasi un paese autonomo: al suo interno vigono diverse leggi e regole che li separano dal resto dell’America. Si sentono isolati, hanno la sensazione di essere stati dimenticati dal governo e dal Paese stesso.