Anche se numericamente non è vastissima la presenza estremo orientale quest’anno a Cannes, si prospetta di assoluto interesse, almeno nelle aspettative, con quattro pellicole presenti in competizione ed altre sparse nelle sezioni laterali, senza contare la sempre affascinante sezione classici. Ad autori che con il festival francese hanno oramai un rapporto ben consolidato, con varie presenze nel corso degli anni passati, come il giapponese Hirokasu Kore’eda, il cinese Jia Zhangke ed il sudcoreano Chang-dong Lee, si aggiungeràquest’anno in competizione il nome relativamente nuovo di Ryusuke Hamaguchi, autore giapponese al suo debutto a Cannes, ma già premiato a Locarno per il suo Happy Hour una paio di anni or sono e con una decennale e variegata carriera alle spalle in patria.

Chang-dong Lee torna sulle scene con il suo nuovo film, Burning, dopo più di otto anni di assenza dal toccante Poetry che fu presentato proprio sulla riviera francese nel 2010, dove si aggiudicò il premio come miglior sceneggiatura. Il film è tratto da un racconto breve di Murakami Haruki, Burn Burning, dove le vite ed il destino di tre giovani, due ragazzi ed una ragazza, si intrecciano con dei misteriosi incendi di origine dolosa. Di tutt’altro genere sembra essere Ash is the Purest White, l’ultima fatica di Jia Zhangke, l’unico regista cinese presente in competizione, che a Cannes nel 2013 vinse il premio per la miglior sceneggiatura con A Touch of Sin. Il film, una grande co-produzione a cui hanno partecipato alcune delle case di produzioni più attive del paese asiatico, è ambientato nel 2001 nella città industriale di Datong, in un periodo economico difficile per la zona e racconta la storia di una giovane ballerina, Qiao, e del suo amore tormentato e difficile con Bin, un giovane delinquente locale.

L’esplorazione del nucleo famigliare giapponese, dei suoi mutamenti e dei suoi rapporti con la società in cui si inserisce, continua per Kore’eda con il suo ultimo lavoro, Shoplifters, in giapponese significativamente intitolato Manbiki kazoku, Una famiglia di scippatori. La loro difficile quotidianità si svolge in un panorama urbano che ricorda quello di Nobody Knows, una casa fatiscente in un quartiere della capitale nipponica circondata da grandi caseggiati e grattacieli, una scelta che secondo lo stesso regista crea un’atmosfera di opressione e isolamento come se gli abitanti della casa si trovassero in fondo al mare guardando la superficie dell’oceano. Fra i protagonisti del film ritroviamo alcune facce note nel cinema di Kore’eda come Kiki Kirin, Lily Franky ed una lieta novità, la presenza di Sakura Ando, una delle giovani attrici più interessanti e talentuose emerse dall’arcipelago nell’ultimo decennio (Love Exposure, 100 Yen Love, 0,5mm).

Come si diceva in apertura per Ryusuke Hamaguchi si tratta del debutto sulla Croisette, il regista giapponese porterà a al festival di Cannes Netemo sametemo (Asako I & II), storia di incontri, memorie e doppelganger. Sarà interessante vedere come lo stile e l’approccio alla settima arte di Hamaguchi, spesso costruito con interpretazioni improvvisate, sarà recepito da critica e pubblico francse, uno stile che ben prima di Happy Hour si è sviluppato nel corso di questi ultimi dieci anni, a partire da Passion del 2008, con lavori che mescolano teatralità e sperimentazione cinematografica, ma che ha anche trovato delle affascinanti puntate nel documentario con Voices from the Waves e Storytellers, lavori che esplorano il dopo terremoto nella zona di Fukushima attraverso il parlato di chi il dramma e la devastazione li ha subiti in prima persona.

Due degli autori più importanti ed affascinanti del panorama cinematografico estremo orientale saranno presenti a Cannes nelle proiezioni speciali, Wang Bing e Apichatpong Weerasethakul porteranno sulla costa francese rispettivamente Dead Souls e 10 Years in Thailand, film a cui il regista tailandese ha partecipato assieme ad altri tre suoi connazionali.

Wang Bing ritorna alle durate dei suoi inizi (West of the Tracks) con un documentario di più di otto ore e terzo capitolo della sua informale trilogia dedicata alle purghe perpetrate dal Partito Comunista Cinese dalla fine degli anni cinquanta, dopo il fenomenale Fengming: a Chinese Memoir del 2007 e The Ditch di tre anni successivo. Con Dead Souls continua quindi quell’esplorazione delle relazioni politiche, sociali e storiche fra il passato ed presente in Cina, passato che spesso viene dimenticato nell’ossessione per il presente ed il futuro nel vasto paese asiatico, a cui il regista cinese ha dedicato tanto spazio e non solo con i suoi film, siano essi di finzione o documentari, ma anche con ricerca di documenti e scritti dell’epoca e testimonianze dirette dei campi di prigionia.

10 Years in Thailand è un progetto che “copia” l’idea al piccolo in budget ma grande per scopo 10 Years, film prodotto a Hong Kong nel 2011 che immaginando come la città sarebbe stata 10 anni dopo, denunciava in modo abbastanza diretto la situazione politica presente dell’ex colonia britannica. Il film tailandese come si diceva sopra è diretto da quattro registi del paese asiatico, oltre a Weerasethakul, hanno diretto un episodio dell’omnibus Aditya Assarat, Wisit Sasanatieng e Chulayarnon Sriphol, ognuno con uno stile ed un tema diverso. L’episodio diretto da Weerasethakul immagina un uomo che prova a vendere una macchina del sonno ad un dottore, tornando quindi sul tema del sonno e dei sogni che tanta parte occupa nei soui lungometraggi e nelle sue istallazioni artistiche, mentre due degli altri episodi trattano di un gruppo di soldati in visita ad una mostra e di una Bangkok popolata di uomini gatto assetati di sangue umano.

Completano la truppa estremo orientale il coreano The Spy Gone North presentato al Midnight Screening e diretto da Yoon Jong-bin, dove un agente segreto sudcoreano stringe un patto con la Core del Nord prima delle elezioni presidenziali del suo paese nel 1997, e la copia restaurata in 4K di Viaggio a Tokyo di Yasujiro Ozu, sempre un’esperienza unica sul grande schermo.