Ehi, bambina, sei un maschio o una femmina? Ehi, bambino, credi che nella tua vita riuscirai a comperare tutto quello che vuoi? Avrai sempre abbastanza soldi per vivere?

Ecco alcune delle domande che, in rappresentanza di noi adulti, il signor Invalsi fa ai nostri bambini e alle nostre bambine.

Perché? E soprattutto: come giudica le nostre risposte?

Mistero.

In questi giorni sono state somministrate (come si dice in gergo) agli studenti, da parte dei docenti, le famose prove Invalsi, cioè dell’Istituto Nazionale di Valutazione.

Personalmente sono contrario. Da anni.

Ecco due domande tra tante della prova Invalsi sottoposte quest’anno ai bambini di Quinta elementare della scuola primaria di tutta Italia.

Giuro che per me non è stato facile quest’anno scegliere la domanda più imbarazzante.

Per esempio: c’era una domanda secca che chiedeva a ogni studente: Sei un maschio o una femmina?

Non era male, diciamo la verità. Ma alla fine ho optato per la domanda test Q10.

Eccola:

Pensando al tuo futuro, quanto pensi siano vere queste frasi?

A. Raggiungerò il titolo di studio che voglio.
B. Avrò sempre abbastanza soldi per vivere.
C. Nella vita riuscirò a fare ciò che desidero.
D. Riuscirò a comprare le cose che voglio.
E. Troverò un buon lavoro.

Metti una crocetta su un solo quadratino per ogni riga.

1. Per niente.
2. Pochissimo.
3. Poco.
4. Abbastanza.
5. Molto.
6. Totalmente.

Fotografate e pubblicate sui social, come ogni anno in chi se ne informa un poco, le prove hanno creato perplessità e proteste da parte di tanti genitori.

«Omioddio». «Vergogna». «La Buona Scuola ha rafforzato la misurazione e l’omologazione di massa». «Mostruoso». «Ma si può tenerli a casa, i figli? Anche come forma di protesta civile. Io non posso pensare di adeguarci a questo». «Queste domande inducono surrettiziamente il ragionamento studio=competizione=lavoro=soldi. A scapito della funzione culturale e sociale della scuola». «Senza parole!!».

Provate anche voi a rispondere a queste domande.

Poi fatevene altre, per favore.

Perché uno Stato fa queste domande a bambini e bambine di dieci anni?

Perché non si può dire agli alunni, ai loro genitori e ai loro insegnanti a cosa servono né come vengono valutate?

Perché dobbiamo pagare gente che fa domande del genere ai nostri figli?

Perché se tu mi stai valutando, è ovvio, almeno vorrei vedere i risultati e sapere quale è, poi, il tuo giudizio su di me, il risultato che ho raccolto.

E poi, naturalmente, ci si chiede quali siano i veri valori e principi che ci sono dietro a queste domande.

Si dice che le prove sono anonime, ma non è del tutto vero. «Queste servono a schedare gli studenti. Si dice che i test siano anonimi, ma in realtà ogni studente ha un codice dal quale è rintracciabile per tutta la sua carriera scolastica, dalla primaria alla secondaria di secondo grado, dagli 8 ai 19 anni».

Insomma, la privacy dove va a finire? E il buon senso?