A un mese dallo sciopero generale che ha paralizzato l’Argentina contro la manovra d’austerità promossa dall’asse Fondo Monetario Internazionale e governo Macrì, decine di migliaia di persone sono tornate in piazza, per protesta, durante la votazione al Congresso della legge finanziaria firmata proprio dal FMI.

La risposta è stata di 9 feriti, proiettili di gomma, lacrimogeni, cariche e arresti. Con il giornalista Federico Larsen, della radio comunitaria di La Plata, Radionauta, raccontiamo la situazione in cui si è inserita la mobilitazione.

Cos’è successo dopo lo sciopero generale?
Il Fondo Monetario ha aperto il proprio ufficio dentro alla sede della Banca Centrale Argentina, ed è ora incaricato di gestire i conti, i tagli e le spese, mentre al governo tocca garantire la governabilità di fronte al conflitto sociale. Mentre milioni di lavoratori portavano avanti l’ennesimo sciopero generale contro governo e FMI, Macri si riuniva a New York con Lagarde,invitando pubblicamente, in conferenza stampa, tutti gli argentini “ad innamorarsi di Cristine”. Nelle stesse ore è stato licenziato il presidente della Banca Centrale Luis Caputo, su richiesta della stessa Lagarde, rimpiazzandolo con un funzionario meno ostile al FMI. Ad ora l’Argentina dovrà pagare i 15 miliardi di dollari evaporati per il gradimento dei mercati finanziari e ha perso la sovranità in materia economica.

La crisi di oggi è quindi diversa da quella di inizio secolo?
Dal punto di vista tecnico ed economico, la differenza è abissale. Dal 2008, l’Argentina ha iniziato a rafforzare il sistema finanziario (con tagli di bilancio a discapito delle politiche sociali), e oggi è molto più solido rispetto a 17 anni fa. Per esempio, la punta dell’iceberg della crisi del 2001 fu la mancanza di liquidità da parte delle banche per sostener la domanda di dollari. Nella pratica la gente chiedeva dollari e nessuno li aveva, il che ha scatenato l’ecatombe. Oggi i grandi capitali si sentono rassicurati dall’altissimo tasso d’interesse -tra i più alti del mondo- che mantiene gli investimenti in Argentina e, mentre il FMI con i governi Macrì e Trump assicurano gli ingenti profitti promessi, non dovrebbero esserci fughe di capitale. Nel 2001 il cambio fisso – un peso un dollaro – impediva la svalutazione della moneta nazionale per sopportare la pressione dei mercati. Oggi il peso, rispetto al dollaro, vale meno della metà di quel che valeva a gennaio 2018. Parliamo di una crisi finanziaria.

I movimenti sociali? Che stanno facendo. Come stanno affrontando la crisi? E la politica?
I movimenti sociali argentini sono conosciuti nel mondo per la loro capacità d’incidere nella vita quotidiana di milioni di persone. L’autorganizzazione, specialmente durante gravi crisi economiche, permette a moltissime persone non solo di esprimersi e mobilitarsi, ma anche di mangiare, istruirsi e lavorare. Le mense, le scuole popolari, e le cooperative che i movimenti sociali hanno saputo costruire nei quartieri, rappresentano un collante fondamentale per il tessuto sociale delle classi popolari argentine. Un accumulo che durante gli anni del kirchnerismo, un po’ per subordinazione al potere governativo, un po’ per l’anestesia che le prebende governative hanno significato per il conflitto sociale, non ha saputo accrescere la propria forza. Oggi il ruolo e il peso dei movimenti è chiaramente maggiore nelle strade e nei quartieri.

Tra i più attivi e propositivi, il movimento femminista: il più capace di attrarre soggettività differenti nella costruzione delle manifestazioni contro il G20 che si terrà a fine novembre a Buenos Aires.