Erano già passate le 23 di venerdì sera e i bar della vicina Avenida Portugal iniziavano a svuotarsi quando la polizia ecuadoriana ha fatto irruzione nell’ambasciata messicana, arrestando l’ex vicepresidente Jorge Glas, precedentemente condannato per corruzione e rifugiato nell’edificio da metà dicembre. «È un attacco al diritto internazionale e alla inviolabilità dell’ambasciata del Messico in Ecuador. Totalmente inaccettabile, è la barbarie», si sbracciava furibondo in mezzo alla strada Roberto Canseco, ambasciatore incaricato messicano, in un video diffuso dopo l’assalto che ha portato a una profonda crisi diplomatica fra i due paesi.

Pochi minuti dopo, il governo ecuadoriano guidato dal 36enne centrista Daniel Noboa rivendicava con orgoglio la decisione, argomentando come «nessun delinquente può essere considerato un perseguitato politico». Per Noboa, Glas deve sottomettersi alla giustizia ordinaria del paese.

QUELLO DI GLAS È UN CASO da anni al centro della contesa politica ecuadoriana. Vicepresidente nei governi di centro sinistra di Rafael Correa e di Lenin Moreno fino al 2018 ed ex Ministro della coordinazione dei settori strategici e delle telecomunicazioni, Glas è stato condannato a sei anni di prigione nel caso di corruzione legato al colosso delle costruzioni brasiliano Odebrecht. Successivamente ha ricevuto un’altra condanna a otto anni per finanziamento illecito del partito Alianza País, nel caso che ha visto condannato anche l’ex presidente Correa.
Glas aveva già scontato cinque anni quando, nel 2022, il giudice Emerson Curipallo gli aveva concesso le misure cautelari. Ma, a dicembre dello scorso anno, Curipallo è stato fra gli arrestati per il caso Metastasis, l’inchiesta che ha ribaltato il sistema giudiziario ecuadoriano per i legami con il narcotraffico.

Il 17 dicembre, Glas chiedeva così asilo all’ambasciata messicana. Secondo il quotidiano El Universo, la polizia aveva ricevuto ordine di arrestarlo per l’appropriazione dei fondi destinati alla ricostruzione della costa ecuadoriana, a seguito del terremoto del 2016.
La reazione messicana non si è fatta attendere, portando a una rottura immediata delle relazioni diplomatiche fra i due paesi. «È una violazione flagrante del diritto internazionale e della sovranità messicana», ha dichiarato il presidente Andrés Manuel López Obrador (Amlo).

IL CLAMOROSO EPILOGO arriva al termine di una settimana di tensione. Mercoledì, il presidente messicano aveva infatti fatto riferimento alle elezioni ecuadoriane del passato ottobre. Per López Obrador, l’omicidio del candidato anticorruzione Fernando Villavicencio, avvenuto lo scorso agosto, ha infatti impedito alla candidata di centro sinistra, Luisa Gonzalez, di conquistare la presidenza. L’esecutivo ecuadoriano ha reagito indignato, ordinando che l’ambasciatrice messicana, Raquel Serur, abbandonasse il paese. A sua volta il Messico venerdì ha deciso di concedere asilo politico a Jorge Glas, sollecitando un salvacondotto che permettesse all’ex vicepresidente di lasciare Quito. Salvacondotto che è stato però immediatamente negato dal ministero degli Esteri dell’Ecuador, argomentando che sarebbe stato contrario alla Convenzione sull’Asilo Politico del 1954. Di lì a poco, i media ecuadoriani hanno riportato la notizia di un aumento della presenza di polizia attorno all’ambasciata, fino al raid avvenuto nella notte.

Attorno a Glas si è stretta tutta la dirigenza del partito della Rivoluzione Cittadina, che ha sempre sostenuto che le azioni legali fossero parte di una azione di persecuzione, di lawfare contro il movimento. «Non viviamo in uno stato di diritto, ma in uno stato di barbarie», ha postato Correa su X. Ma dure critiche sono piovute anche da settori non affini al partito. «A Noboa non interessa rispettare né la legge, né lo stato di diritto», ha dichiarato il presidente della Confederazione delle nazionalità indigene dell’Ecuador, Leonidas Iza. E anche Pedro Bermeo, portavoce del collettivo che ha promosso il referendum contro le estrazioni di petrolio nell’Amazzonia, ha rimarcato che mai difenderebbe un corrotto come Glas, ma si chiede se, a un governo «capace di violare in flagranza il diritto internazionale» davvero importi «rispettare la legge e la costituzione».

LE RIPERCUSSIONI dell’irruzione rischiano di andare ben oltre i confini ecuadoriani. Il Messico ha già dichiarato che si appellerà alla Corte Internazionale di Giustizia. Paesi politicamente affini come Brasile, Bolivia, Honduras e Venezuela hanno condannato l’aggressione. E Gustavo Petro, presidente della Colombia, chiederà che la Corte Internazionale dei diritti dell’uomo adotti misure nei confronti di Glas. Ma molti ecuadoriani sembrano comunque continuare ad appoggiare l’operato del presidente Noboa, anche in questo caso.