«La lotta è appena iniziata» e non si fermerà finché non avrà ottenuto la rinuncia del presidente Alejandro Giammattei. È questo lo scopo del paro plurinacional in corso in Guatemala, convocato dalle autorità indigene alle porte del bicentenario dell’indipendenza del paese, che si celebrerà il 15 settembre.
Tutto era iniziato il 23 luglio con la destituzione, da parte della procuratrice generale Consuelo Porras, dello stimatissimo capo della Procura speciale contro la corruzione e l’impunità Juan Francisco Sandoval, sostituito il 3 agosto dal procuratore José Rafael Curruchiche, già contestato per indagini come quella sul finanziamento illecito a favore del Frente de Convergencia Nacional, partito dell’odiato ex presidente Jimmy Morales.
Ma quella che era iniziata come una protesta contro la corruzione, e che in breve si è estesa a tutto il paese, si è trasformata in qualcos’altro, ponendosi nuovi e più ambiziosi obiettivi: non solo la rinuncia di Giammattei e Porras, ma anche la convocazione di un’Assemblea costituente – un’esigenza sempre più diffusa tra i popoli latinoamericani – per una rifondazione dello Stato in senso plurinazionale.
Per la ricerca, come ha spiegato la leader indigena di Totonicapán Andrea Ixchíu, «di nuovi modelli di organizzazione politica che assicurino una vita degna alle grandi maggioranze e soprattutto alle comunità indigene che per 500 anni hanno sofferto le conseguenze di un modello coloniale, razzista, escludente e patriarcale».
Respingendo «qualunque celebrazione di un’indipendenza che ha lasciato ai popoli indigeni solo povertà, esclusione, denutrizione e perdita di territorio», le autorità ancestrali hanno invitato il popolo del Guatemala a unire le forze per conquistare democrazia, pace sociale e sviluppo.
All’appello hanno risposto associazioni contadine e studentesche, organizzazioni femministe, personale sanitario, lavoratori dei trasporti e in generale una cittadinanza esasperata dalla corruzione sistemica, da una pessima gestione della pandemia, dall’assenza di un piano di vaccinazione nazionale, ma anche dal razzismo strutturale e dalla devastazione operata nei territori indigeni dai progetti estrattivisti.
«C’è un accumularsi di stanchezza, rabbia e malessere per l’incapacità di far fronte all’emergenza sanitaria, per l’aumento del costo della vita, del prezzo dei combustibili, del trasporto pubblico, dei generi di prima necessità, per i molteplici abusi commessi nei confronti delle comunità durante la pandemia», ha evidenziato ancora Andrea Ixchíu.
È per tutto questo che il popolo guatemalteco è sceso ieri nuovamente in strada, dopo le mobilitazioni del 5 e del 6 agosto, bloccando circa 40 punti strategici del paese, «finché non cadano repressori, aggressori e corrotti», recitava l’enorme scritta apparsa in Plaza de la Constitución, chiamata anche Plaza de las Niñas in omaggio alle 41 bambine uccise nel 2017 nell’incendio della casa famiglia Hogar Seguro.