Gli Stati Uniti stanno perdendo opportunità di fare affari nei confronti dell’Unione europea e di altri paesi che hanno già – o stanno negoziando per siglare – accordi Cuba in materia di scambi commerciali e di investimenti.
È questa l’indicazione che alcuni ricercatori statunitensi del Peterson Institute for International Economics traggono in uno studio «Economics normalisation with Cuba», indirizzato ai politici di Washington. Secondo i dati raccolti da questi ricercatori le esportazioni Usa verso Cuba potrebbero raggiungere i 4.300 milioni di dollari l’anno, mentre quelle dell’isola verso gli Usa potrebbero raggiungere la soglia di 5,800 milioni di dollari.

Cifre impressionanti se si tiene conto che negli ultimi sei anni le esportazioni nordamericane a Cuba hanno oscillato tra i 300 e i 500 milioni di dollari annuali, soprattutto in prodotti alimentari e agricoli. L’embargo, decretato unilateralmente da Washington più di cinquant’anni fa, infatti impedisce alle imprese e ai cittadini statunitensi di fare affari a Cuba o con il governo cubano. I ricercatori del Peterson Institute non sono i soli a pensare che per gli Stati Uniti è giunta l’ora di cambiare politica nei confronti di Cuba. Charlie Christ, ex governatore repubblicano della Florida e oggi probabile candidato democratico per il medesimo, nei giorni scorsi ha dichiarato che «è ormai giunta l’ora di togliere l’embargo» a Cuba e ha annunciato che quest’estate, in piena campagna elettorale, intende recarsi in visita all’Avana.

Christ non fa che amplificare una richiesta che viene anche da buona parte dell’emigrazione cubana in Florida, ovvero l’urgenza di mettere alle spalle una scelta politica- l’embargo- che in cinquant’anni ha raccolto solo insuccesi e, come dimostrano molti studi, ha impedito agli imprenditori statunitensi di competere in un mercato privilegiato. Noti imprenditori cubano-americani, come Carlos Saladrigas e Alfonso Fanjul ( impero dello zucchero) stanno facendo pressioni affinché «l’esecutivo (ovvero l’amministrazione Obama) ristabilisca la propria autorità sulla politica degli Usa nei confronti di Cuba».

In altre parole perché la potente lobby anticastrista di Miami non riesca a bloccare qualsiasi tentativo parlamentare di modificare –se non eleiminare-l’embargo.
«Continuano i colloqui segreti tra Usa e Cuba mentre l’Ue sta negoziando un accordo con l’Avana: sembra che tutti siano giunti alla conclusione che (il presidente) Raúl Castro faccia sul serio» con le sue riforme economico-sociali, sostiene una fonte diplomatica dell’Avana. Nel contempo ricchi uomini d’affari e dirigenti nordamericani giungono all’Avana e si riuniscono con funzionari governativi per sondare la possibilità di investire nell’isola.
Di fatto, il muro politico che per più di mezzo secolo ha separato i cubani della madrepatria da quelli emigrati a Miami sta crollando sotto il triplo effetto delle rimesse familiari soprattutto dalla Florida, gli affari dei cuentapropistas (privati) nell’isola e la flessbilità migratoria adottata dai due governi. «Il flusso umano e monetario tra le due sponde del Golfo di Florida è grande come mai in precedenza» sostiene l’ex diplomatico cubano e professore universitario Carlos Alzugaray.

Come dargli torto. Nel primo trimestre di quest’anno (secondo The havana Consulting Group) 173.550 persone hanno viaggiato dagli Usa a Cuba, con un incremento del 9% rispetto al trimestre anteriore. Ormai i cubano-americani e i turisti culturali americani sono secondi solo ai turisti canadesi e superano il flusso di turisti «storici», come spagnoli e italiani.

Nel 2013 sono giunti a Cuba 2,700 milioni di dollari dalle rimesse famigliari, delle quali 2,500 milioni dagli Stati Uniti (ai quali si devono aggiungere prodotti vari come apparati elettronici, elettrodomestivi, vestiti ecc per un valore simile alle rimesse in denaro).
Si tratta della seconda fonte di divisa per il governo cubano dopo l’esportazione di servizi professionali (valutati 10 miliardi di dollari) e superiore al turismo (2,5 miliardi di dollari). Per questo si calcola che almeno il 50% delle piccole imprese private aperte a Cuba (e che ormai danno lavoro a più di 450.000 persone) contino sulla partecipazione di familiari o amici residenti negli Usa.

«Il disgelo deve avvenire in entrambe le direzioni», afferma la fonte diplomatica «ed è questo il trend in corso: infatti il complesso di viaggi, rimesse e affari sta permettendo che coincidano, per la prima volta in mezzo secolo, gli interessi dei cubani delle due sponde dello stretto di Florida».