Noam Chomsky l’aveva predetto già 15 anni fa, che il prossimo grande scontro sarebbe stato quello sino-americano e che avrebbe avuto la sua espressione in una guerra commerciale; due presidenti dopo, è esattamente ciò che sta accadendo.

DONALD TRUMP ha approvato ieri dazi per circa 50 miliardi di dollari su molti prodotti cinesi; le misure verranno applicate in due fasi, la prima, che entrerà in vigore il 6 luglio riguarda 818 categorie di merci, e il suo peso economico è di 34 miliardi, la seconda è rivolta ad altre 284 categorie merceologiche e ha un valore di 16 miliardi. Tra i prodotti colpiti dai dazi del 25% aerei, auto, macchinari industriali e utensili, bulldozer, turbine, motori, hard disk magnetici, valvole, ma non compaiono i beni più diffusi sul mercato Usa come gli smartphone ed i televisori.

Per Trump questo non è l’inizio di una guerra commerciale e minimizza: «Stiamo solo annunciando molti dazi, l’economia americana non è mai stata così forte», ma secondo la nota diffusa dalla Casa Bianca «gli Stati uniti imporranno dazi aggiuntivi se la Cina si impegnerá in misure di ritorsione come nuove tariffe su merci, servizi o prodotti agricoli americani, l’aumento di barriere non tariffarie o azioni punitive contro gli esportatori americani o società americane operanti in Cina». Vale a dire una guerra commerciale.

LA DECISIONE di Trump è arrivata dopo un incontro con il dipartimento del Commercio e del Tesoro e l’ufficio del Rappresentante commerciale, e le sanzioni, sono state annunciate come riposta americana alle violazioni della proprietà intellettuale operate dalla Cina.

In una dichiarazione Trump ha affermato che le misure riguarderanno i prodotti cinesi «che contengono tecnologie significative dal punto di vista industriale» e che la decisione arriva «alla luce del furto della proprietà intellettuale e della tecnologia da parte della Cina e delle sue altre pratiche commerciali sleali».

LA NOTIZIA DELL’IMPOSIZIONE dei dazi è arrivata con gran tempismo in concomitanza con la prima visita ufficiale a Pechino di Mike Pompeo, il segretario di Stato americano, e rischia di compromettere i già pochi progressi fatti negli ultimi mesi nei rapporti tra i due Paesi; Geng Shuang, il portavoce del ministero degli Esteri cinese, durante una conferenza stampa, ha già annunciato che in caso dell’applicazione di dazi da parte degli Stati uniti, gli accordi raggiunti all’inizio di giugno per l’aumento delle importazioni cinesi di alcune categorie di merci statunitensi, verranno considerati nulli, e la Cina risponderà immediatamente ai nuovi dazi con misure proporzionate per «tipo e dimensione».

Questa di Trump è solo l’ultima di una serie di mosse volte a reprimere ciò che considera pratiche commerciali scorrette da parte dei principali partner commerciali americani, e che hanno già coinvolto Canada, Messico e Unione europea.

Nel loro insieme, i conflitti commerciali e la minaccia di ergere ancora più ostacoli negli scambi, sollevano lo spettro di un danno all’economia americana, e non si vedono segni di benefici.

CRITICHE SONO ARRIVATE anche dai rappresentanti repubblicani, come il senatore dello Utah Orrin Hatch, secondo il quale «i dazi danneggeranno sia le imprese che i consumatori americani e cinesi, e metteranno a rischio la crescita economica in entrambi i Paesi».

Per il presidente della commissione finanziaria del Senato, «le azioni commerciali cosí concepite indeboliscono l’economia Usa, alienano gli alleati e invitano a rappresaglie contro imprese, agricoltori e allevatori americani, minano la capacità della nostra nazione di affrontare con successo le politiche commerciali sleali della Cina».