Non sarà un vero e proprio «bagno di sangue» quello che si scatenerà negli Usa se non verrà eletto, ma riguarderà solo il mercato delle automobili, ha tenuto a precisare Trump dopo il comizio a dir poco incendiario che ha tenuto in Ohio.

Raggiunto facilmente il numero di delegati necessari per assicurarsi la nomination repubblicana e archiviate le primarie, The Donald è entrato in una campagna elettorale che non si discosta dalle precedenti, con dichiarazioni sempre più estreme: alcuni immigrati non meritano di essere considerati esseri umani («Non sono gente, sono animali»), l’inflazione fatta arrivare al 50% mentre è al 3,2%, i clandestini che attraversano il confine aumentati di comizio in comizio (15 milioni, 18 milioni, 20 milioni… in realtà nell’ultimo anno sono stati circa 5 milioni).

Riguardo alle polemiche sorte sull’aggressività di quel messaggio sul «bagno di sangue» che accadrebbe se non venisse rieletto, l’ex presidente ha accusato i media di aver intenzionalmente frainteso la sua dichiarazione, ma il dietrofront è arrivato per lo più dal suo staff che ha spiegato come la dichiarazione si riferisse alla promessa di introdurre «una tariffa del 100%» sulle auto prodotte al di fuori degli Stati Uniti, per proteggere la produzione automobilistica nazionale. In questo modo Trump sembra volere corteggiare i lavoratori del settore automobilistico, e fare appello agli elettori negli stati della Rust Belt.
Un’altra promessa fatta al comizio in Ohio è stata quella di liberare tutti i condannati per l’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021, in quanto «Non sono prigionieri, sono patrioti tenuti in ostaggio». Quest’ultima affermazione ha provocato la risposta del suo ex vice Mike Pence, che quel 6 gennaio era uno degli obiettivi dei rivoltosi che inneggiavano alla sua impiccagione. Pence ha definito le parole di Trump «inaccettabili» e ha dichiarato di non voler dare il proprio endorsement al suo ex capo.

Le accuse di Trump rivolte ai media, rei a suo dire di travisare intenzionalmente le sue dichiarazioni, arrivano proprio mentre la Corte Suprema è pronta a discutere se la Casa Bianca abbia infranto o meno il Primo emendamento nel tentativo di contrastare la disinformazione sui social media. Da quando si è insediata, l’amministrazione Biden sostiene che le piattaforme di social media come Facebook e X devono rimuovere i post che contengono, tra le altre cose, disinformazione sui vaccini, sulla pandemia e sulle elezioni del 2020. Ora l’Alta Corte dovrà decidere se e a che punto il governo vira verso una censura dei social medi. Questo caso potrebbe rivelarsi fondamentale per le elezioni del 2024, il suo esito può determinare, ad esempio, se e quando il Dipartimento per la Sicurezza Nazionale può segnalare alle società di social media i post che possono essere opera di agenti di disinformazione stranieri.

Il problema del Primo emendamento, però, non è il principale di Trump. Che non finora non è riuscito a trovare una compagnia assicurativa che garantisca la cauzione per i 464 milioni di dollari di sanzione nella sentenza del processo di New York per gli asset gonfiati. Secondo la Cnn i suoi avvocati, dopo aver contattato 30 istituti assicurativi per coprire la somma, hanno chiesto alla corte d’appello di New York di rinviare i termini, che scadono a fine mese.

La campagna di Biden, invece, ha fatto sapere di non avere problemi economici e di aver raccolto 53 milioni di dollari a febbraio, segno di un crescente interesse da parte dei donatori. La raccolta fondi è un punto positivo per lo sforzo di rielezione di Biden, in lotta con indici di approvazione bassi e sondaggi che lo mostrano in svantaggio negli stati chiave.