Le elezioni generali in Etiopia sono arrivate un anno dopo, ma sono arrivate e molti si sono commossi a vedere fin dalle prime ore del mattino le persone in fila ad esercitare il loro diritto alla democrazia. Tutto il trasporto pubblico si è fermato, i voli nazionali sono stati cancellati e sono sospesi a tempo indeterminato i visti d’ingresso nel Paese.

Nelle settimane precedenti un dispositivo imponente si è messo in moto per portare al voto oltre 37 milioni di persone (su 109 milioni di abitanti, ma un terzo ha meno di 18 anni). 46 partiti anche se la maggioranza dei quali piccoli e a base etnica fatta eccezione per il Partito della Prosperità del premier Abiy Ahmed e dell’Etiopia dei cittadini per la giustizia sociale dell’ex prigioniero politico Berhanu Nega.

Elezioni importanti per la seconda nazione più popolosa dell’Africa e perno centrale di una regione instabile: l’Etiopia è presente con i propri militari nelle forze di pace in Somalia, Sudan e Sud Sudan.

Le elezioni sono, inoltre, il primo test elettorale del primo ministro Abiy Ahmed da quando è salito al potere nel 2018. Per il premier è il «primo tentativo di elezioni libere ed eque» in Etiopia dopo decenni di governo repressivo.

Le elezioni non si sono svolte nella regione del Tigray, dove l’esercito etiope e i ribelli continuano a combattere e dove la fame colpisce 350.000 persone. Non si è votato anche in altre aree del Paese dove prevalgono condizioni di insicurezza e problemi logistici: nel complesso circa un quinto dei collegi elettorali, compresi tutti i 38 seggi del Tigray e altri 64 in tutta l’Etiopia (in questi collegi si voterà il 6 settembre, mentre per il Tigray non è stata fissata una data).

Il capo del consiglio elettorale Birtukan Midekssa ieri affermava che il voto si stava svolgendo in modo per lo più pacifico. Ma diversi partiti di opposizione lamentano aggressioni ai loro candidati, in particolare nella regione di Amhara e in quella dei popoli del Sud.

In Oromia i principali partiti di opposizione boicottano il voto accusando il governo di pratiche intimidatorie nei confronti dei propri candidati e sostenitori.

Le persone in fila ai seggi raccontano di voler votare «per la pace», o esprimono ragioni più economiche auspicando «lo sviluppo». L’equilibrio tra promesse elettorali, vincoli di bilancio e consenso è sempre un’impresa non facile, qui si aggiungono gli effetti della pandemia che ha portato il pil verso una crescita che si limiterà solo al 2% (prima era del 8,4%, nel contempo l’inflazione è al 20%), il conflitto nel Tigray, le tensioni “etniche” in diverse aree del Paese, oltre che problemi di politica estera determinati dal confine conteso con il Sudan e dal riempimento della diga del Rinascimento Etiope che è oggetto di uno scontro diplomatico con l’Egitto (e il Sudan) e, infine, dagli effetti del cambiamento climatico: un incrocio di variabili impossibile.