In mare due navi si impegnano a salvare persone, a terra tre ministri si occupano di creare loro problemi. Sulle Ocean Viking e Humanity 1 ci sono 326 naufraghi. Viaggiavano su barchini instabili o gommoni sovraffollati, con il rischio di ribaltarsi o affondare in qualsiasi momento, senza le più basilari condizioni di sicurezza. Secondo le autorità italiane, però, sono le Ong ad aver agito fuori dalle convenzioni sul soccorso in mare e dalle norme per il contrasto dell’immigrazione. È il contenuto di una nota verbale con cui il ministero degli Affari esteri, guidato da Antonio Tajani (Forza Italia), ha contestato alle ambasciate norvegese e tedesca, stati di bandiera delle imbarcazioni, un comportamento irregolare: «operazioni di soccorso svolte in piena autonomia e in modo sistematico senza ricevere indicazioni dall’autorità responsabile dell’area Sar, Libia e Malta, informata solo a operazioni avvenute». Le due navi non hanno fatto nulla di diverso dalle ultime missioni, portate a termine lontano dai riflettori della politica. Ma con la destra al governo il vento è cambiato e l’esecutivo ci tiene a segnare subito il punto.

«È VERO CHE abbiamo agito in autonomia. Sono anni che chiediamo il coordinamento alle autorità competenti ma nessuno risponde. Dovremmo lasciare affogare le persone?», dice Francesco Creazzo, di Sos Mediterranée. Sulla base delle contestazioni alle ambasciate il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha inviato una direttiva ai vertici delle forze di polizia e delle capitanerie di porto. Dal Viminale fanno sapere che si tratta di una richiesta di monitorare le due navi anche ai fini di un eventuale divieto di ingresso nelle acque italiane. Che per ora non è stato disposto. Immediato il sostegno del vicepremier e neoministro delle Infrastrutture Matteo Salvini (Lega): «Come promesso questo governo intende far rispettare regole e confini». Il manifesto ha potuto visionare il contenuto della nota verbale, che ha una forma scritta, trasmessa all’ambasciata norvegese. Il ministero degli Esteri, che per errore attribuisce la Ocean Viking a Medici senza frontiere invece che a Sos Mediterranée, sottolinea come l’Italia non abbia assunto il coordinamento dei soccorsi, avvenuti fuori dall’area di ricerca e soccorso di competenza, e dunque non riconosca alcuna responsabilità nell’individuazione del porto. Afferma anche di considerare pregiudizievole al buon ordine e alla sicurezza dello Stato l’ingresso della nave in acque territoriali italiane, che quindi potrà essere rifiutato.

UN DÉJÀ-VU del braccio di ferro Salvini-Ong andato in scena tra 2018 e 2019. I decreti sicurezza voluti al tempo dal leader leghista, infatti, sono ancora in vigore. Il successivo governo Pd-M5s aveva promesso di cancellarli all’insegna della «discontinuità» sulle politiche migratorie, ma li ha solo modificati. Per esempio trasferendo nel penale il regime sanzionatorio, con l’aggiunta della possibile reclusione fino a due anni per il comandante della nave, e precisando che non si possono punire i soccorsi «effettuati nel rispetto delle indicazioni della competente autorità per la ricerca e il soccorso in mare». Il diavolo, come sa chi scrive le leggi e chi le emenda, sta nei dettagli. È da oltre cinque anni che l’Italia non coordina i soccorsi fuori dalla sua zona Sar. Né coordinano Malta o i libici, che comunque non dispongono di porti sicuri.

INTANTO DAL 2018 la «flotta civile» è cresciuta. Le navi umanitarie attive sono dieci: Geo Barents, Ocean Viking, Sea-Eye 4, Mare Jonio, Humanity 1, Aita Mari, Open Arms, Open Arms 1, ResQ, Sea-Watch 3 (detenuta a Reggio Calabria). Altre due sono in arrivo: Sea-Watch 5 e Life Support. Tre sono le unità più piccole e veloci: Louise Michel, Rise Above e Aurora Sar (bloccata da problemi con la bandiera britannica). Ci sono poi tre velieri che svolgono missioni di monitoraggio e assistenza: Astral, Imara e Nadir. Anche gli aerei civili che pattugliano il mare sono tre: Colibrì 2 (di Pilots Volontaires), Seabird 1 e 2 (di Sea-Watch). Uno, invece, il centralino che riceve e rilancia le richieste di aiuto: Alarm Phone.

NONOSTANTE TUTTO CIÒ, in assenza di una vera assunzione di responsabilità degli stati, i migranti continuano a morire. Almeno 2.836 dal 2021 nel Mediterraneo centrale (fonte: Oim). Ieri è toccato a due gemellini di appena 20 giorni partiti, con altre 56 persone, da Sfax. Erano sottopeso e sarebbero morti di ipotermia. «La prima a scendere sul molo di Lampedusa è stata la madre, distrutta, in lacrime», dice Giovanni D’Ambrosio di Mediterranean Hope.

La redazione consiglia:
Fiamme sul barcone: muoiono due bimbi a poche miglia da Lampedusa

NELLA CAMERA MORTUARIA del cimitero dell’isola, sprovvista di cella frigorifera, ci sono anche i quattro cadaveri trovati in mare lunedì, quelli di altri due bambini vittime di un incendio scoppiato sul loro barcone e di due tunisini recuperati il 6 ottobre. Tra lunedì e martedì sulla maggiore delle Pelagie sono arrivate più di 800 persone: oltre 1.100 le presenze nell’hotspot. Ieri, poi, la guardia costiera italiana è intervenuta per soccorrere circa 1.300 migranti partiti su due pescherecci da Tobruk, nella Cirenaica. Geo Barents e Humanity 1 erano in area ma non sono state coinvolte. Sull’operazione non sono state diffuse informazioni ufficiali.