Oggi in Ungheria si vota per l’elezione del capo dello Stato. Sono in lizza per il titolo Katalin Novák, candidata del partito governativo Fidesz, e Péter Rona, che concorre per la lista comune “Uniti per l’Ungheria”.

Quarantaquattro anni, due lauree, Novak è una fedelissima del primo ministro Viktor Orbán che, lo scorso dicembre, aveva annunciato a sorpresa la sua candidatura. Vicepresidente del Fidesz tra il 2017 e il 2021, ministra senza portafoglio delle Politiche familiari tra il 2020 e il 2021, sposata, madre di tre figli, la “delfina” del premier afferma il suo impegno contro quella che chiama «ideologia di genere». Sui social ci sarebbe anche un video in cui chiede alle donne di non mettersi in competizione con l’altro sesso, suscitando reazioni indignate negli ambienti femministi. Secondo una delle sue affermazioni «l’Europa è diventata il continente del presepe vuoto, mentre in Asia e in Africa le popolazioni affrontano sfide demografiche di ben altro genere». Va da sé che Novák è per un presepe rigorosamente europeo, non ripopolato da africani e asiatici.

L’altro contendente è Péter Rona, scelto – a fatica – dal blocco di opposizione che il prossimo tre aprile sarà impegnato nelle elezioni politiche. Settantanove anni, emigrato nel 1956, dapprima banchiere negli Stati uniti, poi docente all’Università Blackfriars di Oxford, è tornato in Ungheria dopo la caduta del Muro di Berlino. È stato consigliere economico di vari governi e membro della vigilanza della Banca Nazionale Ungherese (Mnb). «Ci rendiamo conto che, data la composizione attuale del Parlamento, il Fidesz di Orbán eleggerà facilmente la sua candidata (in questo caso sarà la prima donna a rivestire tale carica in Ungheria, ndr), ma riteniamo importante presentare un candidato alternativo», questa la dichiarazione con cui “Uniti per l’Ungheria” ha motivato la sua scelta. Da considerare che, di recente, Péter Márki-Zay, capolista dell’alleanza di opposizione, ha affermato che, in caso di vittoria ad aprile, il blocco antigovernativo cambierà la Costituzione anche per consentire l’elezione diretta del capo dello Stato.

Tale carica, che dura cinque anni, è attualmente ricoperta da János Áder, uomo del Fidesz, già ministro della Giustizia con Orbán. Il suo mandato scade il 13 marzo prossimo.

Questa elezione avviene nel pieno della guerra in Ucraina, paese confinante con l’Ungheria. Nel momento in cui scriviamo si sa di circa 140.000 profughi arrivati nello Stato danubiano per sfuggire al conflitto. Si tratta soprattutto di donne, anziani e bambini che appartengono alla minoranza ungherese presente in Ucraina, ma anche di ucraini provenienti dalle zone orientali. La gestione di questa emergenza sta creando difficoltà enormi in Ungheria, paese tutt’altro che preparato all’accoglienza anche perché, negli ultimi anni, il governo ha deciso di smantellare le infrastrutture destinate a tale scopo. In questi giorni il premier avrebbe comunque dato luogo a dichiarazioni concilianti: «Tutti coloro che fuggono dall’Ucraina troveranno un amico nello Stato ungherese». E ancora: «La regola è aiutare tutti i profughi provenienti dal paese vicino, chiunque fugga da lì deve essere aiutato». Il tutti di Orbán prevede comunque una distinzione tra «profughi legali» e quelli che lui chiama «illegali».

Le organizzazioni non governative distribuiscono cibo, acqua e coperte, le autorità hanno promosso una raccolta di beni per i profughi e contano, in questo impegno, sulla solidarietà della popolazione. I profughi, infine, possono viaggiare gratuitamente sui treni se vogliono raggiungere l’Austria e la Germania attraverso l’Ungheria.