L’aggressione russa dell’Ucraina ha cambiato l’Ue, che «doveva adattarsi e doveva farlo rapidamente». A due anni dall’inizio del conflitto è chiaro che «la Russia non si fermerà all’Ucraina» e che Mosca rappresenta una «seria minaccia militare» per l’Europa e per il mondo. Così «se la risposta dell’Ue non sarà adeguata e non forniamo a Kiev il sostegno sufficiente per fermare la Russia, saremo noi i prossimi».
È una vera chiamata alle armi l’editoriale che il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha pubblicato ieri su varie testate europee (La Stampa in Italia, con il suggestivo titolo “Se vogliamo la pace prepariamo la guerra”). E fa rumore proprio perché i leader dei 27 si riuniranno giovedì e venerdì al Consiglio europeo. Sarà il primo consiglio di guerra dopo la consacrazione di Vladimir Putin zar di tutte le Russie, territori ucraini compresi.

L’EX PRIMO MINISTRO belga invita anche l’Europa ad assumersi la responsabilità della propria difesa, «passando alla modalità di economia di guerra». Tutto questo farà bene non solo a Kiev e alla democrazia europea, ma creerà «posti di lavoro e crescita in tutta l’Ue».

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L’invito di Michel per un’Ue che spenda di più in armamenti arriva all’indomani di un Consiglio dei ministri degli esteri che ha stanziato 5 miliardi di euro aggiuntivi per la difesa di Kiev, mentre solo all’inizio di marzo la Commissione Ue aveva lanciato la prima strategia comune per l’industria della difesa, che chiede acquisti congiunti dei 27 paesi Ue per almeno il 40% delle forniture militari entro il 2030. Anche l’Alto rappresentante per la politica estera Josep Borrell è intervenuto sul tema del supporto militare all’Ucraina, avvertendo come la guerra sarà decisa la prossima estate. «È impossibile penetrare le linee russe senza un sostegno forte. Quando arriveranno gli F-16? Daremo i missili a lunga gittata o no? Per ora la Germania dice no, ma chissà. Io devo lavorare agli aiuti per i prossimi mesi», ha osservato, aggiungendo: «Se i repubblicani continuassero a bloccare e un nuovo presidente decidesse di non sostenere più l’Ucraina, la situazione sarebbe piuttosto complicata».

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LA PAURA CRESCENTE di un disimpegno di Washington è uno dei vettori della corsa europea agli armamenti esplicitata nelle parole sia di Michel che di Borrell. Il capo della diplomazia Ue ha poi anticipato durante un incontro con la stampa che oggi farà una proposta ai governi europei in occasione del summit per destinare in aiuti a Kiev i fondi provenienti dagli asset russi congelati in Europa. La banca centrale russa detiene infatti circa 260 miliardi di euro nelle casseforti dei paesi del G7, un terzo dei quali si trovano proprio in Ue e particolarmente in Belgio. Il 90% degli interessi ricavati su questi beni già congelati, ovvero 3 miliardi di euro circa, finirebbe nel fondo per l’acquisto di armi e munizioni (lo European Peace Facility di cui è parte l’appena varato Fondo di assistenza all’Ucraina da 5 miliardi), mentre il restante 10% sarebbe inserito nel bilancio Ue per contribuire al rafforzamento della difesa di Kiev. «I russi non saranno molto contenti. Tre miliardi all’anno, non sono una cifra straordinaria, ma neppure trascurabile», ha osservato Borrell.

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L’ELMETTO È DIVENTATO mainstream non solo nei palazzi di Bruxelles e non solo all’Eliseo, dove il presidente francese Macron ha di recente evocato la possibilità di coinvolgimento diretto di truppe sul suolo ucraino. Due giorni fa ministra dell’educazione tedesca Bettina Stark-Watzinger, esponente del liberale Fdp, ha affermato che gli studenti devono imparare come comportarsi nell’evenienza di un conflitto armato. Clima non meno marziale anche nella vicina Polonia, dove non solo l’amministrazione di Varsavia ha deciso di destinare 27 milioni di euro per la costruzione di rifugi anti-bomba, ma il governo nazionale sta studiando un piano per restaurare vecchi bunker e costruirne di nuovi in tutto il paese, e addestrare i cittadini al loro uso. Intanto Copenaghen annuncia l’estensione della durata della leva e l’introduzione per le donne dal 2026. «Ci riarmiamo non per fare la guerra ma per evitarla», spiega la premier socialista Mette Fredriksen. Stessa lunghezza d’onda di Michel: si vis pacem…