220mila morti, 300mila edifici distrutti, 1,5 milioni di sfollati: questi sono i numeri approssimativi di quello che è stato uno dei terremoti più letali della storia.

Il 12 gennaio 2010, alle ore 16.53, una scossa di terremoto di magnitudo 7.0 con epicentro a 25 km da Port-au-Prince, colpì gravemente il Paese, devastando la capitale e le aree circostanti. Da allora è arrivato un grande sostegno da parte della comunità internazionale, ma le molte complessità intrinseche allo Stato caraibico ne hanno ostacolato la ripresa, e ad oggi la situazione è ancora molto critica. Si riportano ancora circa 34mila sfollati, per un totale di 8500 famiglie, di cui una parte vive in tendopoli provvisorie.

SECONDO GLI ULTIMI DATI Undp (United Nations Development Programme) disponibili, le persone che vivono in condizioni di povertà estrema (ovvero con meno di 1,9 dollari al giorno) rappresentano il 25% della popolazione, percentuale che cresce vertiginosamente fino ad arrivare al 58,5% quando consideriamo la soglia di povertà nazionale (ovvero quella ritenuta adeguata agli abitanti di un determinato Paese): 6,4 milioni di persone in totale. Solo due terzi della popolazione (65%) ha accesso all’acqua potabile, il tasso di analfabetismo è del 38,4%, e il lavoro minorile coinvolge oltre un terzo (35,5%) dei bambini tra i 5 e i 17 anni.

 

Jovenel Moïse (Efe)

 

Sono dati di per sé già molto scoraggianti, ma lo diventano ancor di più se sommati alle forti tensioni politiche e sociali degli ultimi anni. È da luglio 2018 che il Paese è in rivolta contro l’attuale governo di Jovenel Moïse, cioè da quando è emerso lo scandalo “Petrocaribe”, un processo di corruzione (nel quale sono coinvolti anche i due ex-premier precedenti) che ha sottratto 3,8 miliardi di dollari destinati allo sviluppo del Paese. Petrocaribe è un accordo petrolifero voluto dall’allora presidente del Venezuela Hugo Chávez che prevedeva la vendita di petrolio a prezzi vantaggiosi da parte del Venezuela ai Paesi che aderivano al programma, in modo da agevolarne lo sviluppo.

Da quando è emersa la notizia di corruzione sono scoppiate violente manifestazioni di protesta; la più grande, lo scorso febbraio, ha paralizzato completamente il Paese e negli scontri che l’hanno caratterizzata si sono registrati 40 morti e un’ottantina di feriti (secondo i dati della rete nazionale per i diritti umani). Secondo il Corruption Perceptions Index, Haiti si trova al 161° posto su 180, confermandosi uno dei Paesi con il livello di corruzione più alto al mondo.

SI È PARLATO MOLTO negli ultimi anni di fallimento nella ricostruzione del Paese e si è puntato l’indice soprattutto contro le numerose ong presenti sul campo. Si è parlato addirittura di “repubblica delle ong”, a sottolineare come la loro massiccia presenza abbia ostacolato la ripresa delle imprese. Non sono invece mai state sottolineate abbastanza le difficoltà endemiche che persistono nel Paese affacciato sul Mar dei Caraibi. Come spiega al manifesto Manuel Simoncelli, che ha lavorato per 10 anni con Coopi – Cooperazione internazionale in America latina e Caraibi, «Haiti si caratterizza per una persistente situazione di instabilità politica e di fragilità socio-economica che potremmo definire tendenzialmente croniche e fortemente dipendenti da fattori esterni. Esiste un’importante carenza di infrastrutture e di servizi pubblici, un basso livello di protezione sociale e un’alta disoccupazione. Inoltre, l’insicurezza alimentare e la malnutrizione rendono la popolazione molto vulnerabile agli shock e altamente esposti ai rischi di disastri/emergenze causati principalmente da eventi naturali avversi».

 

In raccoglimento sulla collina di Titanyen (Ap)

 

IL TERREMOTO DEL 2010 non è infatti un caso isolato; da allora ben 3 uragani si sono scagliati su Haiti (Sandy 2012, Matthew 2016, Irma 2017) e un’altra forte scossa di terremoto (magnitudo 5.9) ha interessato la zona nord del Paese nel 2018, causando 11 morti e il crollo di molti edifici. Più in generale, secondo il Global Climate Risk Index, il Paese è al quarto posto tra quelli più colpiti da eventi metereologici estremi nell’ultimo ventennio preso in considerazione (1998-2017). Alle calamità naturali è poi legata la questione delle epidemie. Si ricorderà il drammatico colera di quegli anni, successivo al terremoto e peggiorato dalla tempesta tropicale Isaac e dall’uragano Sandy: con quasi 9mila vittime, è una delle epidemie di colera più funeste della storia. «Oggi la situazione è sotto controllo – spiega Simoncelli – ma finché il colera circolerà sul territorio haitiano, è possibile un’impennata e un’espansione improvvisa dell’epidemia».

SULLE URGENZE del prossimo futuro, afferma: «Con la chiusura della missione Onu nell’ottobre 2019, si rischia un’ulteriore escalation della violenza politica e delle attività criminali. A causa della crisi economica e della crescente violenza, il flusso migratorio è in aumento, esponendo le persone vulnerabili ad ulteriori rischi, tra cui l’apolidia. La crisi alimentare e nutrizionale in Haiti non gode di sufficiente visibilità e attenzione da parte della comunità internazionale, rischiando di essere classificata come crisi dimenticata».