È conosciuta da sempre come la mitica Comandante Dos che nel 1978, a 22 anni, riccioli sotto un basco nero, partecipò all’assalto del Palacio Nacional in Nicaragua prendendo in ostaggio i deputati e ottenendo la scarcerazione di decine di guerriglieri; propiziando al contempo un’impennata dei consensi (anche internazionalmente) verso il Frente Sandinista de Liberación Nacional. Fino alla successiva caduta del dittatore Somoza, il 19 luglio 1979, che diede il via alla Rivoluzione Popolare Sandinista.

Durante la quale fu segretaria politica del Fsln per la capitale Managua e poi ministra della sanità. A 45 anni da quello storico giorno abbiamo raggiunto Dora Maria Tellez a Cambridge, dove si trova dopo i due anni di prigionia (in totale isolamento) beffardamente imposti a lei e alla sua compagna dal “fu” leader rivoluzionario Daniel Ortega. Seguiti nel febbraio dello scorso anno dall’inaspettata deportazione negli Usa (insieme ad altri 221 oppositori) con relativa privazione della nazionalità.

«Dalla rivolta popolare del 2018 soffocata nel sangue -ci riassume Dora- Daniel con la sua vice e consorte Rosario Murillo hanno azzerato partiti politici, mezzi di informazione, società civile organizzata, fino alla messa al bando della chiesa cattolica (ultima in ordine di tempo la chiusura di Radio Maria) in un delirio di potere dove per un nulla chiunque può finire in galera o in aeroporto». Non si è salvata neppure Sheynnis Palacios, cui dal novembre scorso è proibito di tornare a casa propria dopo essere stata eletta Miss Universo.

Eppure questa ossessiva persecuzione non sarebbe sinonimo di forza. Al contrario «la coppia presidenziale mostra una tale debolezza da diffidare dei propri stessi apparati, come confermano le crescenti purghe nei ministeri, nella polizia, nelle amministrazioni locali e nel sistema giudiziario; con passaporti negati a funzionari pubblici cui (alla rovescia) è vietato lasciare il paese». Dora Maria è tagliente: «In questo processo di decomposizione Rosario promuove solamente i suoi; invisa com’è pure agli stretti di Daniel il quale a sua volta, per l’età, fatica ad articolare un discorso».

C’È CHI PAVENTA un’implosione del sistema, come ha azzardato in una recente intervista nientemeno che il fratello di Daniel Ortega, il generale Humberto ex capo dell’esercito durante il decennio rivoluzionario secondo il quale, commenta e condivide la nostra 69enne Tellez, «la tirannia ha i giorni contati e la successione dinastica ipotizzata da Rosario a partire da sé e dal figlio Laureano, non sarebbe praticabile». Dichiarazione che ha fatto infuriare Murillo che ha subito disposto gli arresti domiciliari di fatto del cognato. L’incertezza la fa da padrone in Nicaragua dove fra i militari (e non solo) cresce il malcontento.

NEL FRATTEMPO la situazione economica, sostiene Dora Maria, si presenta con due risvolti: da un lato «il Nicaragua si mantiene con le rimesse familiari (che sfiorano i 5 miliardi di dollari l’anno) degli oltre 800mila nicaraguensi (quasi il 20% della popolazione) che in particolare dal 2018 sono espatriati (in Costarica, Panama, Messico, Stati Uniti e Spagna) e che mitigano la crescente povertà interna». Dall’altro invece i fedeli dell’autocrazia si arricchiscono: «Servendo i cartelli dei narcos con la spedizione di containers di cocaina (come gli ultimi intercettati in Russia e in Italia); col traffico di migranti che giungono a Managua a caro prezzo su voli charter da Cuba, Haiti, Marocco, Libia e persino dall’Afghanistan (via Kazakistan) con destino finale (per terra) gli Usa; oltre al business delle miniere d’oro; e la confisca dei conti correnti e delle proprietà dei dissidenti che hanno abbandonato il paese».

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Al riguardo Dora Maria Tellez considera «poco significativa la ricaduta della presenza commerciale e dell’appoggio di Russia, Cina e Iran in cambio di un voto nelle assise internazionali». Mentre definisce «curiosa» la nomina di un ambasciatore nica a Kabul; e ancor più «sorprendente e misteriosa» l’attribuzione dell’immunità diplomatica nicaraguense agli eredi del “venerabile” italiano Gelli: il figlio Maurizio, ambasciatore a Madrid (con l’aggiunta di Gran Bretagna, Grecia, Slovacchia, Cechia e Andorra), nonché del nipote Licio junior in Uruguay.

Al contempo Dora conviene sul fatto che «l’irrilevanza del Nicaragua fa si che non si parli del nostro paese e questo favorisce l’impunità del regime; salvo le risoluzioni di condanna dell’Organizzazione degli Stati Americani».

IN QUANTO POI all’atteggiamento del Vaticano, dopo la sospensione delle relazioni diplomatiche con la Santa Sede e l’espulsione di due vescovi e di decine di preti, «papa Francesco è stato chiarissimo nel condannare il regime; anche se ho l’impressione che adesso Roma e la chiesa locale preferiscano stare in silenzio nel timore di restare senza sacerdoti».

In tale contesto per Dora Maria Tellez «l’unica alternativa, in vista delle elezioni del 2026, è una resistenza civica che possa propiziare una transizione verso il ripristino dell’istituzionalità democratica». E alla constatazione su un’opposizione divisa oltre che tutta in esilio, fa notare come «in effetti non è stato facile riprendersi individualmente dalla durissima detenzione, dovendo fare allo stesso tempo i conti con la sopravvivenza quotidiana fuori del proprio paese». Aggiungendo comunque che questa fragilità viene in certa misura compensata dal fatto che «tutti i nicaraguensi, sia nel paese convertito in carcere collettivo che riparati all’estero, sono costantemente informati grazie alle “catacombe virtuali” dei social e al lavoro dei giornalisti confinati che il regime non può controllare».

COME PUÒ aver avuto un simile epilogo la rivoluzione più aperta e plurale della storia di fine secolo scorso in America Latina? «All’indomani della sconfitta elettorale del febbraio 1990 il Fronte Sandinista si divise fra noi che intendevamo continuare sulla strada della democratizzazione per vincere le elezioni successive, e l’assolutismo di Ortega che puntava a riprendersi il potere venendo anche a patti con gli interessi dell’oligarchia locale. Si impose lui, riconquistando il governo nel 2007. Con l’ambiziosa moglie Rosario che dopo aver sconfessato la propria figlia Zoilamerica che aveva denunciato il padrastro Daniel per abusi in giovanissima età, acquisì un enorme potere. Fino a praticare un dispotismo peggiore di quello di Somoza».

E all’obiezione del perché il suo Movimiento de Renovación Sandinista si sia convertito in Union Democratica Renovadora sacrificando l’appellativo ispirato al General de Hombre Libres, Augusto Sandino, argomenta con sofferenza di come «è difficile conservare, soprattutto per le nuove generazioni, il valore della parola “sandinista” che l’orteguismo ha manipolato e tradito».

DORA MARIA TELLEZ al momento è ospite all’Università di Harvard dove sta scrivendo le proprie “Memorie di una ribelle” e tenendo lezioni e incontri con gli studenti sull’America Latina. Che effetto le fa l’essere paradossalmente “rifugiata” nel paese che avversò in tutti i modi la rivoluzione degli anni ’80, che in passato le negò il visto di ingresso perché la considerava una “terrorista”? «Non l’ho scelto io, mi ci sono ritrovata; e in ogni caso molte cose sono cambiate, a partire dall’attuale amministrazione Usa che avversa l’Ortega odierno mentre Donald Trump faceva finta. E comunque non penso che rimarrò qui a lungo».