In democrazia gli assalti al parlamento non presagiscono nulla di buono, specie se mai rinnegati o elaborati, ma sono invece spesso pericolosi precedenti. È questa la sensazione netta nell’anniversario del primo tentato golpe della storia degli Stati uniti, ricorrenza che il paese affronta diviso e inquieto. Infatti se l’insurrezione è fallita, l’invenzione delle «elezioni rubate» su cui si fondò, è ancora diffusissima: il 76% dei repubblicani dichiara che la sconfitta di Trump è stata causata da brogli mentre nel Congresso siedono ancora 147 deputati repubblicani che un anno fa votarono per ribaltare il risultato delle elezioni.

PER QUATTRO ANNI Donald Trump ha intaccato il tessuto democratico del paese. La scorsa epifania ha palesato l’entità dello strappo, forse irreversibile che vi ha procurato. In buona sostanza, uno dei due partiti che compongono il sistema politico Usa ha rinnegato l’assunto fondamentale dell’avvicendamento democratico; al discorso politico ha preferito la radicalizzazione, alla dialettica il complottismo. Non solo quel giorno sulle scalinate del Campidoglio soffocate dai lacrimogeni, ma in tutti i giorni che sono seguiti in cui il Gop è rimasto allineato dietro la grande menzogna quotidianamente perorata.

Mentre la commissione d’inchiesta della Camera continua a lavorare per esplicitare i retroscena dell’insurrezione e il ruolo di Donald Trump nell’attacco a Capitol Hill, è già chiara la strategia adottata dal partito dell’ex presidente in vista delle prossime elezioni: disinformazione a oltranza per strumentalizzare nuovamente rancore e paranoia bianca.

NELLA POLVERIERA del melting pot è un gioco allo sfascio, più che strategia politica, una crociata religiosa che non ammette mediazione. Più che politica la crisi americana ormai è «epistemica», la narrazione trumpista, infarcita di fatti alternativi, e complotti deliranti, inficia la stessa realtà condivisa con una miscela fatale di negazionismi, su elezioni, clima e Covid: la variante anti scientifica dei populismi che è tema del film non a caso più discusso dell’anno: Don’t Look Up. La demagogia alimenta un culto che nega ogni evidenza ed esclude ogni compromesso. Vi aderisce una minoranza, composta pur sempre però da decine di milioni di persone, ad esempio i 50 milioni di elettori che considerano Biden illegittimo – un serbatoio permanente di possibile eversione.

Di contro la coalizione prevalentemente urbana e multietnica, fautrice della società multiculturale a lungo al centro dell’idea americana, è penalizzata dai meccanismi di democrazia intermediata che favoriscono gli stati rurali contro la maggioranza popolare. Anche oggi collegio elettorale e federalismo rimangono strumenti per la soppressione e manipolazione strategica del voto. Gli ultimi due presidenti repubblicani hanno conquistato la Casa bianca pur perdendo il voto popolare – un plausibile copione anche per il 2024 quando la macchina repubblicana rimetterà in campo sperimentate tattiche per pilotare il risultato. E se non dovessero bastare soppressione, propaganda e ricorsi, stavolta peserà il precedente – e la minaccia – di un altro 6 gennaio.

I MODELLI PIÙ ADATTI al momento potrebbero essere Weimar e, a proposito di anniversari, la Marcia su Roma, il tipo di erosione aggressivamente anti democratica che favorisce l’ascesa al potere di una fazione minoritaria ma ideologicamente agguerrita. Coi totalitarismi del secolo scorso il trumpismo condivide anche xenofobia, attacchi simultanei a migranti ed “élites” – e quello frontale alla stampa. L’idea dello scontro esistenziale fra patrioti e «impostori» (una volta si sarebbe detto blud und boden) è apertamente perorata dagli ideologhi che inveiscono contro la «sostituzione razziale» dal pulpito delle emittenti conservatrici. L’idea di una guerra civile «purificatrice» è parte integrante dell’estrema destra in America. Ora però esiste anche una crescente bibliografia di studiosi ed esperti che considerano plausibile un conflitto prossimo venturo, rilevando che, come per l’emergenza climatica, si stia chiudendo la finestra utile a sventarlo.

QUALI FORME potrebbe prendere un simile conflitto? Sempre nell’ultimo sondaggio, il 34% degli americani giustifica la violenza politica. iil dato, preoccupante, diventa inquietante alla luce delle oltre 400 milioni armi da fuoco disperse nella popolazione. Il pessimismo viene ripreso dall’Istituto per la democrazia e l’assistenza elettorale che ha di recente inserito gli Stati uniti nella lista delle «democrazie regressive» con «tendenze autoritarie».

Il modello è già in rodaggio in Texas, Florida e altri stati a gestione repubblicana che negli ultimi mesi hanno vietato l’aborto e i mandati vaccinali, epurato biblioteche e perfino fortificato i “propri” confini internazionali. Trump intanto ha ribadito questa settimana il sostegno e l’ammirazione per Viktor Orbán – un indizio che il modello ungherese di autoritarismo securitario ed etno-nazionalista potrebbe diventare anche quello di una America post-democratica.

IL TEMPO STRINGE e le opzioni si fanno sempre più esigue. Per l’amministrazione Biden, con la sua esile maggioranza, la battaglia decisiva si giocherà nelle prossime settimane sulla riforma elettorale.

Errata Corrige

6 gennaio/Primo anniversario del primo tentato golpe nella storia Usa. Il 76% dei repubblicani e 50 milioni di elettori pensano ancora oggi che Trump fu sconfitto dai brogli e che Biden sia un presidente illegittimo. Nel 2024 peserà il precedente. Intanto gli Stati Uniti finiscono nella lista delle «democrazie regressive» con «tendenze autoritarie»