A tre giorni dal terremoto che ha colpito le province orientali afghane di Paktika e di Khost, al confine con il Pakistan, il quadro non è ancora chiaro: i numeri di morti e feriti sono ancora incerti.

Secondo l’agenzia di stampa Bakhtar News, filogovernativa, i morti sarebbero più di mille e i feriti almeno 1.500. Rimane incerta la stessa possibilità che i soccorritori raggiungano tutte le aree colpite. E che il bilancio nei prossimi giorni diventi davvero completo, includendo le piccole comunità, lontane dai grandi centri urbani, fatte di case abbarbicate su terreni montuosi, escluse dal «progresso» degli ultimi venti anni.

ESEMPLARE IL CASO riportato ieri dalla Bbc: la clinica del distretto di Gyan, uno dei più colpiti a Paktika, a 170 km e un giorno di automobile dalla capitale, dispone di cinque posti letto, mentre i feriti arrivati nelle scorse ore sarebbero circa 500.

Mancano le medicine, manca lo staff adeguatamente formato, manca il gasolio che alimenta i generatori di corrente, manca il cibo. Manca la sanità, come in molte altre parti, a dispetto della pioggia di denaro piovuta nel Paese, a lungo sostenuto economicamente dagli stranieri ma afflitto da corruzione e cultura dell’impunità, tanto a livello locale, quanto internazionale.

TRA LE NARRAZIONI più diffuse dei Talebani, tornati al potere nell’agosto 2021, c’è quella della «fine della corruzione», del ritorno a principi di distribuzione equa delle risorse: la fine di un regime particolarmente corrotto e predatorio. Ma alcune comunità, soprattutto quelle che contestano l’egemonia pashtun sul governo, in particolare gli hazara, accusano il governo dei Talebani di discriminazione nella distribuzione degli aiuti umanitari.

Il terremoto ha colpito una zona «pashtun», a ridosso della linea Durand che a fine Ottocento ha arbitrariamente diviso il cosiddetto «pashtunistan» tra Afghanistan e Pakistan. Ora il solitamente silenzioso primo ministro, Mullah Mohammad Hassan Akhund, annuncia che sono stati stanziati 1,13 milioni di dollari per aiutare le famiglie colpite dal sisma. Ma la partita degli aiuti sarà tutta da seguire: un banco di prova centrale per il governo targato mullah. Che affronta una duplice sfida, «logistica» e politica.

Da una parte, deve mostrare che è in grado di governare la macchina dell’emergenza, anche se non ne ha né i mezzi né le capacità. Dall’altra, deve riuscire a ritrovare sponde e interlocutori persi da quando, lo scorso agosto, la spallata militare ha mandato all’aria gli accordi, per quanto equivoci, presi nel febbraio 2020 a Doha con gli Stati Uniti, che prevedevano un «processo di pace». A seconda di come i Talebani gestiranno la partita post-sisma, potrebbero uscirne indeboliti o rafforzati, sul piano domestico e internazionale.

SI VEDRÀ CON IL TEMPO: un conto sono le reazioni emotive, le scelte umanitarie, un conto le scelte politiche. Così, il presidente Usa Joe Biden ha espresso rammarico per le perdite afghane e ha sollecitato l’agenzia per la Cooperazione internazionale, Usaid, a muoversi in fretta.

Mentre l’Unione europea ha messo sul piatto un milione di euro come stanziamento iniziale per 270mila persone in 7 distretti delle province di Paktika e Khost, ha dichiarato Janez Lenarcic, commissaria europea per la Gestione delle crisi. Ma gli aiuti concreti – camion carichi di tende, medicinali, etc – sono arrivati dai Paesi della regione, in particolare da Pakistan e Iran, oltre che, via aerea, dal Qatar.

E il primo ministro dell’Emirato islamico Akhund ieri ha avuto una lunga conversazione telefonica proprio con il premier pakistano, Muhammad Shehbaz Sharif, che ha assicurato piena cooperazione e la sospensione degli ostacoli che rendono spesso difficile l’attraversamento del confine, per uomini e mezzi.

Il terremoto ricorda nella sua virulenza un dato di fatto: è nel contesto regionale che l’Afghanistan trova i propri interlocutori più naturali. Ma la sua fragilità economica, alimentata da due decenni di occupazione militare, lo rende ancora dipendente dagli attori occidentali che governano finanziariamente la macchina degli aiuti.