Oltre alle norme sulla sicurezza del lavoro la maggior parte dei 49 articoli contenuti nello «schema di decreto» sul «Piano nazionale di ripresa e resilienza» (Pnrr), approvato ieri dal Consiglio dei ministri, risponde a una grande difficoltà che sta rallentando il «cronoprogramma» del Sacro Graal dell’economia italiana che da solo vale 194,4 miliardi di euro. Parliamo degli ostacoli che impediscono di avviare e concludere le opere finanziate dalla Commissione Europea.

OBNUBILATI dalla convulsa corsa al raggiungimento delle «scadenze» (quantitative, chiamate «target»; qualitative, chiamate «milestones», cioè le «riforme» normative e amministrative spesso di ispirazione neoliberale), il problema sfugge quasi del tutto all’attenzione pubblica. Sembra contare più la fretta a centrare gli obiettivi, per ottenere le prossime «rate» del Pnrr da Bruxelles, che l’effettiva capacità di realizzare i progetti finanziati da questi soldi. Il governo Meloni, a cominciare dal suo ministro addetto al Pnrr Raffaele Fitto, sono coscienti di questa contraddizione. E sono preoccupati.

IN UNA RELAZIONE del novembre 2023 l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) ha sostenuto che la maggior parte dei ritardi dei progetti discende dalla difficoltà di mettere a bando e assegnare i lavori. È un «collo di bottiglia» che deriva dalla difficoltà di adattare i progetti alle diverse «condizioni territoriali e ambientali».

IL DECRETO approvato ieri ha cercato di rispondere a questo problema rafforzando l’accentramento dei poteri nelle strutture che gravitano attorno a Palazzo Chigi. Saranno dati al massimo 21 giorni di tempo ai soggetti attuatori, a cominciare dai ministeri per finire con i comuni, di aggiornare gli interventi previsti. Altrimenti scatteranno i poteri sostitutivi, probabilmente con la nomina di commissari. Non solo. Il decreto prevede una «clausola di responsabilità sulla spesa». Questo significa che, nel caso in cui non sarà raggiunto un «target», ai «soggetti attuatori» saranno chiesti indietro gli importi versati.

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IL GOVERNO potrebbe attivare «azioni di recupero» come si fa normalmente con i debitori. Tali «recuperi» consisterebbero nel rivalersi su altri fondi di «finanziamento nazionale» (articolo 2, comma 3). In pratica, davanti alla difficoltà di portare a termine i progetti, probabilmente per un deficit strutturale di personale che non è stato risolto all’inizio di questa avventura, il Pnrr azionerà una forma di austerità interna.

FITTO IERI ha definito una simile possibilità come un modo di «responsabilizzare tutti gli attori coinvolti». In realtà, rivalendosi sugli enti locali e i loro fondi, potrebbero essere i cittadini, a subire le conseguenze di un mega-piano che governi di diverso colore hanno voluto abnorme con il «Conte 2» e poi con Draghi e realizzabile entro il 2026.

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COSÌ SI SPIEGA la decisione di affidare il coordinamento locale delle opere del Pnrr alle prefetture considerate interfacce tra le amministrazioni locali, i ministeri e la cabina di regia installata a palazzo Chigi. Quest’ultima, oltre ad integrare il Cnel diretto da Renato Brunetta, ha allargato gli effettivi. È stato rafforzato il potere della «struttura di missione» di effettuare ispezioni e controlli a campione sulle amministrazioni.

AUMENTERÀ il numero dei commissari. Prendiamo una delle grane del governo, quella sulle residenza universitarie sui quali sono stati combinati una serie di pasticci che hanno ritardato la terza rata del Pnrr. Per colmare i ritardi della realizzazione di 60 mila nuovi alloggi per gli studenti che poi saranno cogestiti dai privati sarà nominato un commissario al ministero dell’Università. Un altro commissario, presso il ministero dell’Interno, si occuperà di realizzare l’«obiettivo» di recuperare i beni confiscati alle mafie. Un altro al ministero dell’agricoltura dovrà garantire la lotta contro il caporalato. Ciascuno di questi commissari avrà a disposizione una serie di funzionari che lavoreranno per lui.

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FITTO HA SOSTENUTO inoltre che la ristrutturazione dei finanziamenti avvenuta ieri con il decreto abbia risolto il problema del definanziamento di 12,8 miliardi ai danni degli enti locali deciso mesi fa. Ora, a suo avviso, ci sarebbe la «copertura» comprendente «3,4 miliardi di euro di progetti usciti dal Pnrr che dovevano trovare una copertura adeguata, sia 9,4 miliardi dei nuovi progetti previsti». «In attesa di leggere il testo definitivo, a noi questo sembra il gioco delle tre carte» ha commentato Ivana Veronese (Uil). La Cgil invece parla di «scelta grave» per quanto riguarda «l’applicazione delle clausole occupazionali sull’obbligo di assunzione di giovani sotto i 36 anni e di donne ai quali andrebbe riservato almeno il 30% dei nuovi posti di lavoro creati dai futuri bandi finanziati dal Pnrr. I progetti in essere, dal valore di oltre 67 miliardi di euro, sono infatti esclusi da questo obbligo». «Un vero e proprio tradimento» sostiene Christian Ferrari (Cgil).

ALL’INIZIO di questa forsennata gara, iniziata illudendosi di avere competenze e strutture capaci di sostenere l’immenso sforzo, sempre l’Upb sostenne che gli enti locali avrebbero potuto avere difficoltà nel progettare e finalizzare i progetti finanziati con il Pnrr per mancanza di strutture adeguate per portare a termine le opere.

PIU’ DI DUE ANNI dopo il problema è diventato realtà e riguarda soprattutto i piccoli e i medi centri, a cominciare da quelli del Sud. Dovrebbero essere loro a beneficiare maggiormente di una strategia complessiva pensata per un riequilibrio territoriale. E invece è stato riscontrato il fatto che questi soggetti continuano a rinunciare a fare progetti. Non perché non li vogliano, ma perché non hanno i mezzi per superare la burocrazia e gli impegni che sono richiesti, come ha ripetutamente evidenziato l’osservatorio sul Pnrr della Fondazione Openpolis.

CON LA REVISIONE del Pnrr ottenuta dalla Commissione Ue il governo ha ridimensionato il loro coinvolgimento Tuttavia il loro ruolo è inaggirabile per realizzare il piano. Questo dato ha costretto ieri il governo ad aumentare la possibilità di fare ricorso ai poteri sostitutivi al fine di supplire alla carenza della capacità amministrativa.

QUESTA SITUAZIONE è l’effetto dell’ opacità dei processi decisionali e di una partecipazione ridotta a zero del Parlamento e delle parti sociali. È l’obiettivo della governance tecnocratica: neutralizzare la democrazia, rendendo imperscrutabili politiche importanti come il Pnrr alla società.