Anche il governo è stato costretto ad ammettere che il «Piano nazionale di ripresa e resilienza» (Pnrr) procede a rilento rispetto alla reale attuazione dei progetti finanziati. Presentando la quarta relazione sul salvifico piano, considerato da destra a sinistra il Sacro graal dell’economia italiana. ieri Raffaele Fitto – il ministro addetto a dirimere l’enigma entro il 2026 – ha ufficializzato alcuni dati sui fondi investiti in proporzione a quelli ricevuti dalla Commissione Europea. Nulla però ha detto sullo stato di realizzazione effettiva dei progetti sulla quale permane una carenza di informazioni come denunciato dalla fondazione Openpolis e da altre 315 associazioni che hanno presentato un nuovo «Foia» al fine di ottenere dati e documenti di interesse pubblico (Il Manifesto 20 febbraio).

L’ITALIA, sostiene la relazione presentata ieri nella «Cabina di regia» a palazzo Chigi, ha speso al 31 dicembre 2023 45,6 miliardi sui 101,93 miliardi ricevuti: meno della metà. L’anno scorso, il 2023, è stato il primo anno pieno passato da Giorgia Meloni al potere. Stando ai dati del governo sono stati utilizzati 21,1 miliardi di euro del Pnrr, valore di poco inferiore a quello del biennio 2021 e 2022, ma decisamente inferiore ai 40,9 miliardi di euro previsti dall’esecutivo nella «Nota di aggiornamento al Def» 2022.

L’ACCELERAZIONE promessa più volte dal governo è molto lontana da venire. Eppure, ieri, da Meloni e Fitto in giù ministri e maggiorenti destrocentrici hanno celebrato i propri successi, non nascondendo però la fatica del «lavoro da fare». La contraddizione può essere spiegata così: il governo è impegnato in una corsa del criceto per raggiungere «obiettivi e pietre miliari» stabilite dal Pnrr. Questo acronimo infelice è ispirato a una teoria dei giochi economici. E in effetti l’Italia è prima in Europa in questa gara. Lo è perché ha ricevuto più soldi di tutti (194 miliardi di euro) e deve correre più velocemente per raggiungere più obiettivi nel più breve tempo possibile.

PER OPENPOLIS un «dataset» relativo alle scadenze pubblicato il 19 gennaio ha stabilito che gli impegni previsti per la fine del 2023 sono diminuiti, passando da 69 a 52. Di conseguenza è diminuito anche l’importo richiesto dall’Italia all’Ue, passando da 18 a 10,6 miliardi. La rimodulazione di 145 misure, avvenuta a seguito dell’approvazione del nuovo «Pnrr» italiano approvato l’8 dicembre scorso, implica che le prossime «rate» del piano (la quinta è stata richiesta il 29 dicembre) saranno di importo inferiore, mentre gli «obiettivi» aumenteranno (90).

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ORA, ANNEBBIATI dalla corsa del criceto, si è persa di vista la realizzazione dell’insieme e dei singoli progetti sui quali gravano le difficoltà derivanti dalla mancanza di competenze. Un problema soprattutto per il centro-sud, l’area che avrebbe più bisogno di investimenti. Ieri le opposizioni – le stesse che hanno accettato il gioco quando erano loro al governo – hanno colto solo una parte di questo problema. «I dati sulle “milestones” [pietre miliari, ndr.] enfatizzate ieri da Fitto non c’entrano nulla con la “messa a terra” dei fondi ed è abbastanza triste che un ministro debba scendere a questi artifizi per giustificare il suo operato» ha detto per esempio Stefano Patuanelli (M5S).

TRA LE GRANE del governo c’è quella degli oltre 10 miliardi di euro stornati dal governo agli enti locali verso un altro progetto collegato al Pnrr, il «Repower Eu». Nonostante le rassicurazioni di Fitto ancora non si è capito come saranno rifinanziati. Lo ha ricordato ieri il presidente Anci e sindaco di Bari Antonio Di Caro: «Buona parte della spesa è merito dei comuni che hanno fatto 230 mila gare sui 35 miliardi assegnati – ha detto – Chiediamo ancora una volta al governo di trovare nel nuovo decreto le risorse per sostituire i 10 miliardi». Un decreto che slitta per la difficoltà di trovare le coperture. Ieri Fitto ha detto di stare lavorando con Giorgetti a tale proposito.

RESTA L’INCOGNITA dell’impatto del Pnrr sulla «crescita» del Pil. Secondo la Commissione Ue è tutto da vedere: nel 2022 i fondi già erogati hanno spinto il pil Ue solo dello 0,4%, contro un +1,9% atteso. Alla fine, il commissario Ue all’economia Paolo Gentiloni ha ammesso di non fidarsi della «modellistica previsionale» usata dalla sua commissione per giustificare il suo piano. Sconcertante, ma in fondo è il grande gioco dell’economia. Ma a questo gioco c’è un paese intero che non sta giocando. E, forse, si è fatto giocare.