I sondaggi sulla nuova Costituzione cilena, che sarà sottoposta a un plebiscito il prossimo 4 settembre, mostrano da mesi in vantaggio il rechazo, l’opzione del rifiuto del nuovo testo, scritto durante l’ultimo anno da una Convenzione composta da 155 membri ed eletta dalla popolazione. Sebbene la breccia si sia ridotta nell’ultima settimana, l’apruebo – la scelta di approvare – è ancora lontana dalla vittoria.

In Cile, la società civile manifesta da un decennio la necessità di un nuovo testo costituzionale, che sostituisca quello scritto nel 1980, durante la dittatura di Pinochet, più volte riformato ma ancora in vigore. Durante l’enorme rivolta sociale esplosa nell’ottobre 2019 questa rivendicazione ha acquisito sempre più rilevanza e infine è stata raccolta e negoziata tra le forze politiche presenti in parlamento in un accordo firmato il 15 novembre di quell’anno.

NELL’OTTOBRE 2020 la volontà di cambiare la Carta Magna è stata ratificata nuovamente con il primo plebiscito, dove il sì all’avvio di un processo costituente ha vinto con l’80% dei voti, ed è stata confermata ancora una volta dalla popolazione cilena con l’elezione dei delegati a scrivere il nuovo testo, nel maggio 2021, dove la destra è stata castigata e sono stati invece premiati i candidati indipendenti dalla casta politica. Eppure, ora che manca meno più di un mese dal voto di ratifica del nuovo testo costituzionale, tutto il processo che ha portato a questa proposta sembra essere in pericolo.

«La Convenzione è stata determinata dall’Accordo per la Pace e la Nuova Costituzione del 15 novembre 2019» afferma lo storico e docente dell’Universidad de Chile Sergio Grez per spiegare questo ribaltamento dello scenario rispetto a un anno fa. Per prima cosa segnala che l’elevato quorum dei due terzi dei voti per approvare gli articoli del nuovo testo – regola stabilita in quell’accordo – ha finito per «dirigere le decisioni dell’organo costituente, così una gran quantità di proposte progressiste non sono passate, sebbene raggiungessero la maggioranza semplice».

Inoltre, aggiunge, la Convenzione è stata egemonizzata dalle forze del centro sinistra: il Frente Amplio, il Partito Socialista e altri gruppi politici legati alla ex Concertación che «spesso hanno votato insieme alla destra per opporsi a proposte delle liste di sinistra ed evitare così le posizioni più radicali».

IN LINEA con quest’analisi, nelle ultime settimane si assiste a prese di posizione individuali e voltafaccia tra i politici di quel centro sinistra che ha governato il Cile democratico in alternanza con la destra negli ultimi trent’anni, e che ora si mostra spaccato in due.

Perfino l’ex presidente democristiano Eduardo Frei si è espresso per il rifiuto, in opposizione alle indicazioni del suo partito, mentre un altro ex presidente, il socialista Ricardo Lagos, ha sollevato un polverone di critiche per l’ambiguità della sua posizione.

Inoltre, da quando la Convenzione ha presentato il testo definitivo, lo scorso 4 luglio, il dibattito politico si è concentrato sempre di più sulle riforme che sarebbe necessario apportare alla Costituzione, che si approvi la nuova o che si mantenga quella di Pinochet.

«Ma se al plebiscito non passa il nuovo testo, non ci sarà spazio in realtà per nessuna riforma, se invece lo approviamo poi potremo discutere quel che va cambiato della attuale proposta, in un processo democratico» spiega l’avvocata Manuela Royo, eletta alla Convenzione come rappresentante del movimento in difesa dell’accesso all’acqua Modatima, e in visita in diversi paesi europei durante questo mese di luglio: in Spagna, Francia, Germania e al parlamento europeo ha trovato «molto interesse e ammirazione per il processo che abbiamo portato a termine.

Nonostante in Cile i grandi media abbiano scelto una narrativa proclive al rifiuto della nuova Costituzione e alla riproduzione di fake news, a livello internazionale ci viene riconosciuto che si tratta di un testo all’avanguardia».

LA PROPOSTA di Costituzione attualmente al vaglio nel Paese è la prima al mondo scritta da una Convenzione eletta con parità di genere e che si definisce ecologica: elaborata nel contesto del cambio climatico, riconosce la natura come soggetto di diritti. Trasforma il Cile in uno Stato sociale e plurinazionale e attribuisce diritti specifici ai popoli originari, stabilisce le premesse del diritto all’aborto, garantisce l’accesso alla salute e all’educazione pubblica.

Il gruppo di ricerca Demoscopía Electronica del Espacio Público, dell’Universidad Católica di Valparaiso, ha analizzato le strategie comunicative messe in atto dalla destra per frenare questa Costituzione troppo progressista, una destra che conta anche sull’appoggio dei principali mezzi di comunicazione, in Cile controllati sostanzialmente da un duopolio.

«Per prima cosa hanno convertito il lavoro della Convenzione in una notizia di lungo periodo fatta di continui scandali», spiega Pedro Santander, docente di giornalismo e direttore della ricerca, «come conseguenza, questo ha generato un danno alla reputazione dei suoi membri; inoltre hanno usato le fake news in un modo nuovo e spregiudicato: perfino i media tradizionali le hanno replicate senza verificarne la veridicità. Infine, i rappresentanti della destra eletti hanno agito fin dal primo giorno cercando di distruggere la Convenzione da dentro».

LA PARTE PIÙ DIFFICILE «è stata smentire le menzogne che si dirigevano direttamente alle paure delle persone e alle loro vulnerabilità», riflette ancora Manuela Royo, «per esempio, se ti mentono dicendo che con la nuova Costituzione possono toglierti la casa di proprietà è grave perché attacca un problema concreto e rilevante a livello nazionale».

Le possibilità che l’apruebo vinca sul rechazo dipende, per lei, dalla capacità di essere presente nei quartieri e nei diversi territori del Paese, di «informare e formare, portando avanti un lavoro di educazione popolare».

HA UN’OPINIONE simile anche Santander: «Oggi la campagna per approvare la nuova Costituzione è più presente sui social network rispetto a quella del rifiuto, al contrario di quel che era accaduto nel plebiscito del 2020», spiega, però allora il sì al nuovo testo aveva vinto ampiamente e questo dimostra che i social non definiscono le elezioni. Lo stesso esempio permette di affermare che «più gli utenti sono politicizzati, meno influisce l’effetto ideologico dei media e dei social».

Quando è stato indetto quel plebiscito, in effetti, la rivolta sociale dell’anno prima – che aveva portato in piazza milioni di persone e attivato assemblee in tutti i territori – era ancora fresca, nonostante la pandemia ne avesse interrotto l’evoluzione.

Lo scenario attuale è più complesso: nel voto di settembre potrebbero incidere la dura crisi economica in corso e l’inflazione alle stelle, il costo della vita che si fa insostenibile e un governo – quello di sinistra del giovanissimo Gabriel Boric, salutato come una ventata di novità dopo l’elezione nel marzo scorso – che sostiene la nuova Costituzione ma ha perso consensi fin dai primi mesi in carica.