«Combattenti illegali», così l’8 ottobre il ministro della difesa israeliano Gallant aveva definito i palestinesi di Gaza con un permesso di lavoro in Israele. Circa 18.500 persone che negli ultimi anni erano state autorizzate a uscire dalla Striscia per lavorare nei cantieri e nei campi israeliani.

Dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre e l’uccisione di 1.400 israeliani, civili e militari, il governo israeliano ha cancellato tutti i permessi e ha iniziato a cercarli. Quattromila di loro sono stati caricati sugli autobus e trasferiti in Cisgiordania, accolti dalle comunità palestinesi nelle case e i centri culturali.

COSA FARNE di loro in quelle ore concitate non era chiaro a nessuno a Tel Aviv. Gallant, da parte sua, li ha subito considerati una minaccia e ha emesso un ordine che ne permetteva la detenzione per dieci settimane in basi militari dell’esercito. Tanti sono finiti in quella di Sdeh Teiman, vicino Beer Sheva, altri in quella di Anatout a Gerusalemme, ci spiega l’ong per i prigionieri palestinesi Addameer.

Trattati al pari di combattenti nemici, anche se si trattava di muratori e braccianti: «Una cinquantina sono stati posti sotto interrogatorio secondo la legge anti-terrorismo, nessun avvocato per 21 giorni», aggiunge Addameer.

Di numeri precisi non ne esistono: le organizzazioni per i diritti umani non hanno potuto incontrarli, non sanno quanti siano ancora in prigione e dove siano detenuti. Poi, venerdì a centinaia sono stati rimessi sugli autobus, direzione Gaza.

Li hanno lasciati al valico di Kerem Shalom, quello dedicato alle merci: hanno camminato per sei chilometri prima di raggiungere la Striscia. Lo mostrano i video circolati ieri sulle piattaforme social e le loro testimonianze, rilasciate ai giornalisti di al Jazeera e Middle East Eye. Hanno raccontato di pestaggi e torture, di confische di soldi, vestiti e telefoni.

«NON POTEVAMO contattare i nostri familiari, non sapevamo se erano ancora vivi». Alcuni mostrato i segni sui loro corpi: «Mi hanno chiesto se volevo bere, poi mi hanno tirato addosso acqua bollente», dice uno di loro. «Ci hanno trattati come cani durante gli interrogatori. Le mani legate dietro la schiena, non ci davano cibo a sufficienza né acqua», racconta un altro a Mee.

«Ragazzini dell’età dei miei figli ci hanno fatto spogliare e ci hanno urinato addosso. Nessuno ha chiesto di noi, né la Croce rossa, né l’Autorità nazionale palestinese. Ci hanno tradito tutti, tutto il mondo ci ha tradito», ha gridato un uomo alla troupe di al Jazeera. «Ci picchiavano e ci lasciavano nudi. Ci affavamavano».

L’ong israeliana Gisha ha definito «estremamente tragiche» le condizioni in cui sono stati detenuti. E in cui tanti altri lo sono ancora. «Ci tenevano appesi e ci picchiavano – la testimonianza di un anziano manovale – Ci chiedevano se conoscevamo qualcuno di Hamas. Non sappiamo niente, siamo solo lavoratori».