Il Piano Mattei, e il rinnovato impegno italiano in Africa del governo Meloni, stanno restituendo la verginità ad alcuni dei peggiori dittatori del continente africano ma sembra che di questo, al governo, nessuno abbia il coraggio di parlare.

Nei giorni del vertice Italia-Africa di gennaio scorso uno di questi, l’eritreo Isaias Afewerki, 78 anni e presidente dal 1993, è rimasto in Italia per 12 giorni: ha cenato al Quirinale, incontrato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il ministro della Difesa Guido Crosetto, il ministro del made in Italy Adolfo Urso e quello dell’agricoltura Francesco Lollobrigida e ha avuto dei bilaterali con il keniota Ruto e il somalo Mohamud. La delegazione eritrea, nei giorni dopo il vertice, ha visitato, tra le altre cose, l’impianto di riciclaggio di Viterbo, diverse aziende lattiero-casearie e norcinerie umbre, alcuni parchi tecnologici e industrie di ceramica. Nella delegazione eritrea, oltre al presidente, c’erano anche il ministro degli Esteri Omar Saleh e Zemede Tekle, commissario alla Cultura e allo Sport e potentissimo ex-ambasciatore a Roma.

Afewerki è tornato ad Asmara il 9 febbraio. Il 1 marzo, il Regno Unito ha presentato una dichiarazione al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, rammaricandosi del fatto che la situazione dei diritti umani in Eritrea «non stia migliorando» ed esprimendo «preoccupazione» per la politica eritrea circa il servizio militare a tempo indeterminato, principale ragione per cui migliaia di giovani eritrei fuggono dal Paese. Un tema, quello dei diritti umani, mai emerso ufficialmente al vertice Italia-Africa.

Un mese e mezzo dopo il rientro della delegazione in Eritrea, il 28 marzo, una nave da guerra russa ha attraccato, per la prima volta nella storia, al porto eritreo di Massaua con a bordo una delegazione di alto livello guidata dal vice ammiraglio Vladimir Kasatonov, vice-comandante in capo della Marina russa. L’occasione era il 30esimo anniversario dei rapporti diplomatici Eritrea-Russia. A ricevere la delegazione c’era sempre lui, l’ambasciatore Zemede Tekle, che ha organizzato una partita di calcio tra marinai eritrei e russi.

Lo scarso interesse dell’Italia per i diritti umani in Eritrea emerge chiaramente da un’intervista rilasciata ad Agenzia Nova dal viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli, che il 31 gennaio aveva incontrato a Roma Afewerki. Nell’intervista, Cirielli non parla mai di diritti umani ma sciorina il suo «sogno nel cassetto»: fare in modo che l’Italia diventi «il primo Paese occidentale a concludere un accordo almeno biennale di cooperazione con l’Eritrea, Paese che – guarda un po’ – vive una fase di isolamento internazionale». Un accordo su cui «stiamo lavorando».

Abbiamo provato a contattare palazzo Chigi per avere più informazioni e ci è stato detto che non rientra nel Piano Mattei, in netta contrapposizione con quanto detto a gennaio sui progetti di cooperazione: l’Eritrea era tra i nove paesi selezionati per le prime missioni, e i primi progetti, del Piano Mattei. Abbiamo quindi provato a contattare il ministero degli Esteri ma ci è stato suggerito di contattare l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics): Michele Morana, direttore Aics a Kharoum, in Sudan, e competente anche per l’Eritrea, ha detto al manifesto che «non sappiamo nulla, noi continuiamo a lavorare su alcuni progetti umanitari. Se ci sono delle interlocuzioni e dei lavori a livello politico, di questo non sappiamo nulla» e bisogna quindi tornare all’inizio, a palazzo Chigi. Dove, tuttavia, dicono di non sapere nulla e smentiscono Cirielli.

O forse no?

Sul Secolo d’Italia del 6 maggio Francesco Nicola Maria Petricone, docente alla Lumsa e soprattutto consigliere di Giorgia Meloni per le politiche sociali, parla di una imminente visita in Eritrea, a giugno, del ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, pronto ad atterrare all’aeroporto di Asmara «costruito nel 1922 proprio da noi italiani» e auspica «legami significativi e simmetrici di cooperazione e partenariato sulla base del rispetto dell’indipendenza e della sovranità nazionale» dell’Eritrea, ricordando che «la nostra storia si interseca da sempre con quella dell’Eritrea» ma dimenticando il termine “colonialismo”. L’Italia sarebbe «pronta ed impegnata a fare la sua parte anche per promuovere un dialogo costruttivo tra l’Europa e l’Eritrea» perché «l’Eritrea vuole l’Italia come partner principale per ripartire» nonostante, negli ultimi anni, abbia ceduto ampiamente alle lusinghe cinesi e soprattutto russe. Asmara si è sempre allineata a Russia, Bielorussia e Corea del Nord nell’opporsi alle risoluzioni Onu contro Mosca e alla formazione di una commissione per indagare sui presunti crimini russi in Ucraina. Nel 2024, l’Eritrea è stato il primo Paese al mondo ad inviare funzionari di alto rango nella Crimea occupata, di cui ha ricevuto gratuitamente, il 5 gennaio scorso, del grano regalatole da Mosca.

Isaias Afewerki è «un dittatore al comando da oltre 30 anni che impedisce libere elezioni, l’esistenza di partiti di opposizione, la libertà di stampa, di parola, di associazione» ha detto Laura Boldrini il 21 maggio scorso. Boldrini, deputata Pd e presidente del Comitato permanente della Camera sui diritti umani nel mondo, ha «ascoltato le testimonianza di alcuni rappresentanti della Coalizione eritrea per il cambiamento democratico (Ecdc), tutti costretti a fuggire dal loro Paese. Hanno raccontato, documenti e report alla mano, delle continue violazioni del diritti umani più basilari in uno Stato in cui non c’è neanche un’università, in cui la leva è obbligatoria e senza scadenza, in cui le carceri sono piene di dissidenti, attivisti e giornalisti a cui non viene neanche garantito un processo».

Ma la repressione di Asmara, che ha appena celebrato il suo Giorno dell’Indipendenza, non è solo interna: «Uomini del regime di Afewerki – ha detto ancora Boldrini – che ottengono il visto per venire in Italia, gli unici a poterlo ottenere, giunti qui rintracciano gli eritrei a cui è stato riconosciuto lo status di rifugiati, mettendo in grave pericolo non solo la loro incolumità, ma anche quella delle loro famiglie riamaste in Eritrea».