«Faceva caldo quella domenica, un caldo innaturale, ero uscito per una passeggiata con la maglietta estiva. Ho il ricordo incancellabile di un sole enorme che al tramonto incombe sulla città e i palazzi». Antonio Bassolino, 33 anni allora, era segretario regionale del Pci in Campania e componente della direzione nazionale del partito. Per quattro anni, fino al 1975, era stato segretario della federazione irpina, la provincia all’epicentro del terremoto devastante delle 19.34 di quel 23 novembre 1980, quarant’anni fa ieri. Bassolino, come tutti quelli che li hanno attraversati, ricorda perfettamente quei novanta secondi.

«Ero in poltrona a leggere quando il lampadario cominciò a oscillare paurosamente, mi alzai ed ebbi la sensazione che il corridoio si stesse rimpicciolendo. Mia moglie fuggì in strada con il bambino. Stranamente io che ho paura anche quando vado in macchina rimasi calmo e non uscii di casa se non dopo mezz’ora. Nel frattempo feci qualche telefonata per cercare di capire. Probabilmente non erano passati che venti minuti quando chiamai la direzione nazionale a Botteghe Oscure. Riuscii a parlare con Pio La Torre che, abitando assai vicino alla sede del partito, era già lì. Prima di uscire di casa feci in tempo a vedere l’edizione straordinaria di un telegiornale Rai che, lo ricordo benissimo, dava la notizia di un terremoto grave “con epicentro a Eboli in provincia di Potenza”. Sbagliavano anche regione».

All’epoca Bassolino abitava a Chiaia, in via Vittoria Colonna, pieno centro. «Scendo in strada e vedo una fiumana di gente che scendeva verso il lungomare. Vado a piazza Municipio, davanti al comune incontro il sindaco Maurizio Valenzi con Andrea Geremicca e altri compagni. Valenzi era al San Carlo quando c’era stata la scossa». Sul palco quella sera Severino Gazzelloni con il suo flauto d’oro, i testimoni raccontano che il musicista non perse il controllo al momento della scossa mentre il pubblico scappava in preda al panico. Bassolino continua il suo ricordo: «Valenzi decide di lasciare accese tutte le luci di palazzo San Giacomo, il comune è aperto. Io sempre a piedi vado verso la federazione, in via dei Fiorentini, e la redazione dell’Unità che era in via Cervantes.

Decido di partire quella sera stessa. Mi metto in macchina con due giornalisti dell’Unità, Rocco Di Blasi e Vito Faenza. Andiamo verso le zone del terremoto. La Napoli-Bari era chiusa, quindi prendiamo la Salerno-Reggio Calabria, usciamo a Contursi e da lì cominciamo la salita verso l’Irpinia. Un calvario. Prima Calabritto, poi Caposele, un comune a me molto caro. Lì venivano mandati al confino gli antifascisti, lì avevo chiuso diverse campagne elettorali. Arriviamo nella notte e resto sconvolto. La piazza dei comizi non c’era più. La sede che dividevano la sezione del partito e la federbraccianti della Cgil era crollata, sotto le macerie c’erano diversi compagni.

Poi andiamo a Lioni, completamente distrutta, a Sant’Angelo dei Lombardi, l’ospedale è crollato. Per diverse ore non si vede un soccorso. Il lunedì l’Italia non ha la consapevolezza della gravità di quello che sta succedendo. Telefono a Berlinguer. “Enrico, guarda che la situazione qui è assai più drammatica di come la rappresentano giornali e televisioni. Sotto le macerie ci sono tanti morti e tanti feriti”. Infatti furono salvate vite ancora diversi giorni dopo. Tutti noi ricordiamo quella famosa prima pagina del Mattino, “Fate presto”, ma è di tre giorni dopo. Quel 24 novembre Berlinguer chiama Pertini immediatamente, gli spiega che i suoi giù testimoniano un dramma immenso. Il giorno dopo arriva Pertini, gira per alcuni dei comuni più distrutti. Il 26, tornato a Roma, il presidente fa quel discorso agli italiani che scuote la politica».

Un discorso che non piacque alla Dc né al Psi. Il ministro dell’interno, Rognoni, decise di dimettersi, il presidente del Consiglio, Forlani, lo convinse a restare. Il Pci apprezzò il discorso. «Berlinguer, probabilmente il primo a sapere che Pertini sarebbe andato in Irpinia, riunisce subito la direzione del partito a Roma, poi scende a Raito, una piccola frazione di Vietri sul mare per un attivo dei quadri meridionali. Al quale segue una conferenza stampa nella federazione di Salerno dove lancia quella che fu chiamata, impropriamente, la seconda svolta di Salerno». A quella conferenza stampa per il manifesto c’è Valentino Parlato. Che chiede a Berlinguer se il Pci sta abbandonando la linea della “solidarietà nazionale”.

«La Dc, avendo ormai dimostrato di non essere in grado di guidare un’azione di risanamento morale e di rinnovamento della società e dello Stato non è in più grado di dirigere il governo del Paese – risponde il segretario – la funzione dirigente spetta al Pci». «È la linea dell’alternativa democratica», ricorda Bassolino, «nasce proprio in quei giorni della disastrosa prova di inefficienza dello stato.

Berlinguer torna a Roma ma è di nuovo in Campania pochi giorni dopo per un nuovo attivo dei quadri comunisti meridionali a Contursi. Lo accompagno a Caposele, a Laviano sempre con Pio La Torre. Il caldo di Napoli era già un lontano ricordo, in quelle zone interne faceva molto freddo. Ricordo Berlinguer con il suo cappotto, piegato sotto il peso della tragedia».

Quarant’anni dopo, ieri il presidente Mattarella ha voluto ricordare sul Mattino il senso di comunità che consentì allora di reagire. Chiediamo a Bassolino un ricordo della mobilitazione popolare. «Fu straordinaria. I volontari arrivarono da ogni parte d’Italia, moltissimi del nord. È stato forse l’ultimo grande fenomeno di solidarietà civile nazionale. E il Pci fu soggetto attivo di quella mobilitazione, come ci aveva invitato a fare Berlinguer. Fu un impegno lungo, politico. Nacquero tanti comitati popolari che volevano dire la loro sulla ricostruzione. Nei ricordi che mi fa piacere condividere con il manifesto c’è il continuo impegno di Luciana Castellina». L’impegno fu anche degli intellettuali.

Il vecchio Manlio Rossi Doria tornò in Irpina con Gilberto Marselli e Pasquale Lombardi per collaborare alla ricostruzione facendo una stima dei danni. Bassolino ricorda un convegno organizzato dall’istituto Gramsci e dal Crs un mese e mezzo dopo il sisma ad Avellino città, concluso da Berlinguer. «Il terremoto è stato una catastrofe incredibile, un clamoroso caso di inefficienza dello stato, un punto di svolta che consentì alla camorra di fare il salto di qualità grazie alle mani sulla ricostruzione. Ma fu anche una straordinaria esperienza di solidarietà che è giusto ricordare».