«Stiamo perdendo la corsa per il contrasto al riscaldamento globale». Parole non di un climatologo, ma di Sultan Al Jaber, presidente di Cop28, la prossima conferenza Onu contro il cambiamento climatico. L’esponente degli Emirati Arabi Uniti ha sintetizzato così il primo Bilancio Globale della transizione ecologica, lo stato dell’arte delle politiche climatiche redatto dagli esperti delle Nazioni unite. La pubblicazione del documento è prevista tra pochi giorni, ma le conclusioni sono chiare: la transizione è al palo, il mondo sta cambiando troppo lentamente.

Al Jaber esprime un punto di vista realista e largamente diffuso nella comunità scientifica, ma frasi di questo genere stonano rispetto alla sua storia personale: è infatti amministratore delegato di Adnoc (Abu Dhabi National Oil Company), la principale compagnia petrolifera emiratina, e quindicesima azienda al mondo per emissioni climalteranti cumulate.

Le sue dichiarazioni sono arrivate nel contesto dell’African Climate Summit di Nairobi, la tre giorni diplomatica fortemente voluta dal Kenya per dotare il continente di una linea comune proprio in vista di Cop28. I paesi africani sono compatti sulla necessità di ricevere corposi finanziamenti dal nord globale sia per adattare i territori al clima che cambia, sia per realizzare la necessaria transizione.

Prima del summit gli Emirati Arabi Uniti hanno annunciato un pacchetto di investimenti da 4.5 miliardi di dollari per l’energia pulita in Africa, mentre l’Unione europea ha messo sul piatto 1 miliardo di euro proveniente dalla Banca Europea per gli Investimenti. Non abbastanza per i governi africani, che parlano all’unisono di revisione dell’architettura finanziaria globale. Obiettivo primario dei paesi del continente è l’attuazione dei meccanismi di Loss&Damage. Si tratta di una formula entrata per la prima volta nelle conclusioni dei negoziati per il clima solo nella Cop27 dell’anno scorso, e si traduce nell’impegno da parte dei paesi ricchi di risarcire le nazioni più povere e vulnerabili dai danni della crisi climatica. Nel summit del 2022, tenuto a Sharm el-Sheik in Egitto, ci si è accordati sul principio. Ma su chi debba mettere i soldi, a chi spettino, e che organismo li gestisca si deve ancora trovare un’intesa.

Di certo c’è che ecologisti e società civile sono scettici sull’esito del summit africano. In una lettera indirizzata al presidente kenyota William Ruto, 500 associazioni hanno denunciato il rischio di fare della transizione ecologica una nuova forma di colonialismo. Anche la destinazione degli aiuti desta preoccupazione. Già negli scorsi mesi era emerso lo scandalo dei fondi per il clima usati in modo improprio, e ora la paura è che i nuovi finanziamenti finiscano in progetti inutili o dannosi. Non sfugge, infine, il paradosso di paesi – sia europei, sia Cina e nazioni del Golfo – che da un lato stanziano fondi per la transizione e dall’altro continuano a finanziare gasdotti, trivelle e centrali a carbone anche in Africa. Una beffa per il continente con le emissioni più basse, ma al contempo più colpito da alluvioni, incendi, siccità – i frutti avvelenati del riscaldamento globale.