Bruno Pereira Araujo e Dom Phillips hanno dunque perso la vita in una delle aree indigene più vaste e popolate del Brasile, al confine con il Perù. 8,5 milioni di ettari, con la più alta percentuale di popoli incontattati al mondo, 19 gruppi etnici, oltre agli stanziali Kanamari, i Marubo, i Matis, i Matsés, i Kulina e i Korubo, che hanno già avuto contatti con l’uomo bianco.

Bruno Pereira, era un militante storico delle lotte indigene, già responsabile Funai (Fondazione per l’indio) in quella zona, rimosso dalla carica nell’ottobre 2019 a seguito di pressioni dal settore dell’agrobusiness e delle lobby agricole, fortemente legati al governo Bolsonaro, il quale a causa del suo lavoro aveva ricevuto ripetutamente minacce di morte, mentre Dom Phillips era un giornalista che da molti anni raccontava il Brasile e i suoi popoli indigeni, in particolare su The Guardian e The Washington Post. Nei giorni scorsi erano stati ritrovati alcuni effetti personali dei due uomini, in particolare lo zaino con il pc del giornalista, indumenti, scarpe e documenti personali, cosa che faceva pensare al peggio, e adesso i loro assassini hanno confessato e sono in stato di fermo.

Fiona Watson

Abbiamo intervistato Fiona Watson, del Dipartimento ricerca e advocacy di Survival International, amica dei due indigenisti, che frequenta da trent’anni quella parte di foresta amazzonica, e ne conosce problematiche e pericoli.

Perché sono stati uccisi. E quali rischi corrono i popoli indigeni, soprattutto quelli incontattati, nella Valle Javari?

Bruno e Dom sono le ultime vittime di una guerra condotta dal presidente Bolsonaro e dai suoi alleati dell’agrobusiness. I popoli indigeni di quest’area subiscono un numero allarmante di invasioni da parte di bracconieri, trafficanti di legname, cercatori d’oro e e bande criminali. Il territorio è al confine con il Perù ed è preso di mira dai corrieri della droga poiché si tratta di un’area di foresta densa e remota, in cui è quasi del tutto assente la protezione federale. A ciò si aggiunge la retorica razzista di Bolsonaro contro i popoli indigeni e in favore delle attività minerarie: gli invasori si sentono incoraggiati dal suo sostegno e invadono, minacciano e uccidono i popoli indigeni contando sull’impunità. Infine, il Brasile è oggi in fase pre-elettorale e in questi periodi, spesso, i casi aumentano perché promettere più terre e risorse e incoraggiare le invasioni è una strategia vincente in molte parti dell’Amazzonia.

Altre minacce arrivano dai missionari evangelici che vorrebbero contattare a forza i popoli incontattati. Ci hanno provato intensamente durante la pandemia e nel 2020.

Bruno è stato minacciato e ucciso proprio perché sosteneva i popoli indigeni della Valle Javari nella loro battaglia per proteggere le loro terre e ottenere il rispetto dei loro diritti. Stava accompagnando Dom, un giornalista molto informato ed esperto, anche lui estremamente appassionato di Amazzonia e dei suoi popoli, il quale stava scrivendo un libro proprio su questo tema. Denunciava crimini e problemi portandoli all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale. Anche lui era un obiettivo.

Ma in generale popoli indigeni e attivisti che lavorano con loro sono minacciati in tutto il Brasile. Alcune aree dell’Amazzonia sono praticamente zone di guerra: il territorio Yanomami è stato pesantemente invaso da cercatori illegali d’oro e bande criminali che operano nell’impunità. L’associazione Hutukara ha recentemente diffuso un rapporto scioccante intitolato Yanomami under attack (Yanomami sotto attacco) che documenta gli attacchi armati alle comunità yanomami, gli omicidi,, lo stupro e la prostituzione di donne e ragazze, gli alti livelli di contaminazione da mercurio nel sangue.

Anche le comunità e le organizzazioni Munduruku subiscono attacchi da parte di cercatori d’oro che lavorano lungo il fiume Tapajós; i leader ricevono minacce di morte e l’organizzazione delle donne è stata saccheggiata. Il territorio Uru Eu Wau Wau, invece, è invaso da accaparratori di terra organizzati, proprio in un’area in cui sappiamo vivono gruppi incontattati. Anche i Guardiani Guajajara mettono a rischio le loro vite per difendere la loro foresta e loro vicini Awá incontattati dai trafficanti di legname. Molti di loro sono già stati uccisi e gli assassini sono tuttora a piede libero.

Una delle situazioni più strazianti e drammatiche è quella dei Guarani, nel sud del paese. Quando cercano di rioccupare le terre ancestrali di cui sono stati derubati decenni fa per far spazio agli allevamenti, subiscono attacchi sistematici e brutali da parte di milizie armate al soldo degli allevatori; molti sono stati assassinati. Tanti oggi vivono in piccoli appezzamenti di terra o accampati ai margini delle strade, perché i governi che si sono succeduti non hanno mai riconosciuto i loro diritti territoriali.

Cosa sta facendo Survival International in questo momento?

C’è una campagna per ottenere che le Ordinanze di protezione territoriale siano rinnovate: abbiamo già ottenuto il rinnovo di alcune di esse, ma solo per 6 mesi. Denunciamo le violenze in corso in Brasile, diffondendo notizie in tempo reale su ciò che accade e le facciamo arrivare ai media internazionali; facciamo pressione su organi internazionali come l’Onu e sui governi occidentali che finanziano progetti nel paese. Sosteniamo i Guardiani Guajajara e amplifichiamo le voci indigene attraverso la nostra piattaforma Tribal Voice. E, cosa molto importante, continuiamo a monitorare senza sosta la situazione per contrastare le manovre anti-indigene del governo Bolsonaro ad ogni passo. Non c’è dubbio che senza il lavoro costante e instancabile delle organizzazioni indigene e dei loro alleati nel mondo, la situazione sarebbe di gran lunga peggiore.

Quale può essere la risposta politica dell’Europa, dell’Occidente?

La pressione dell’opinione pubblica nazionale e internazionale è cruciale. I popoli indigeni e le loro organizzazioni hanno bisogno di supporto, sia morale che economico. Dobbiamo continuare a fare pressione non solo sul governo brasiliano, ma anche sui governi donatori e le aziende occidentali che fanno affari con il Brasile. In alcuni casi ha funzionato.

I governi occidentali dovrebbero consultare direttamente le organizzazioni e le comunità indigene, e finanziare direttamente i loro progetti. I governi donatori, e le aziende e i supermercati occidentali che fanno affari con il Brasile, dovrebbero indagare più approfonditamente la filiera per assicurarsi di non commerciare minerali, legno o prodotti dell’agrobusiness a spese delle vite e delle terre indigene. Anche i media devono indagare le filiere illegali e denunciare il costo reale, e terribile, dell’ondata di crimini e violenze che sta devastando le vite, le terre e i mezzi di sussistenza di così tanti popoli indigeni brasiliani.