Legge di bilancio: cantiere sempre aperto. Sul fronte scuola e università, dove sono pressoché assenti nuovi investimenti dopo la lunga stagione dei tagli e la successiva grande stagnazione, ieri il vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio ha fatto una promessa singolare. «Nei prossimi due mesi» nell’iter della manovra «dovremo dare più soldi a scuola, università e ricerca», «tagliando un po’ le detrazioni e gli sgravi fiscali ai petrolieri. Tagliamo da dove si inquina e mettiamo dove serve, per la formazione dei ragazzi e anche per gli stipendi degli insegnanti».

NON È DATO SAPERE, al momento, a quali tasse stia abbia pensato il ministro del lavoro e dello sviluppo, né se l’eventuale gettito – tutto da verificare – sia una tantum oppure qualcosa di strutturato. Resta la sensazione di un’improvvisazione totale: dato che tutte le risorse extra-deficit sono state puntate sul sussidio di povertà detto impropriamente «reddito di cittadinanza», sulla «pensione di cittadinanza» e la «quota 100», è stata lanciata una suggestione per riconquistare al bilancio di scuola e università una briciola degli oltre 9 miliardi di euro tagliati nel 2008 dal governo Berlusconi-Tremonti e mai più, da allora, rifinanziati.

LA LEGGE DI BILANCIO conferma un meccanismo di finanziamento già rodato in passato e ispirato a un puro meccanismo capitalistico: tanto più crescere il Pil, tanto più cresceranno i fondi destinati all’istruzione. Lo hanno fatto notare gli studenti universitari del coordinamento Link secondo i quali l’articolo 78 prevede che le risorse per coprire uil fabbisogno dei soli atenei dovranno crescere nella stessa misura del Pil reale. Questo significa che il fondo del funzionamento ordinario degli atenei aumenterà in percentuale uguale a una crescita che è tutto tranne che scontata. Al punto che le stime del governo che la vedono sobbalzare dall’attuale 0,8% sul Pil all’1,5% del 2019 è contestata da tutte le istituzioni nazionali e internazionali. «Secondo le nostre stime – sostiene Alessio Bottalico (Link) – il fondo aumenterebbe tra i 200 e i 300 milioni in tre anni, mancherebbero quelli necessari per il ripristino di un miliardo e più tagliato da Tremonti e Gelmini». Senza contare che gli oltre otto tagliati alla scuola restano un miraggio. Un’illusione vera e propria se le risorse resteranno parametrate alla crescita di un Pil che rischia invece di essere discendente. La proposta di Di Maio di finanziare l’istruzione con i soldi di petrolieri dovrebbe dunque compensare l’enormità di questa cifra che il governo non ha inteso nemmeno considerare. Gli studenti torneranno in piazza il 16 novembre. «Abbiamo presentato a Di Maio un piano di investimenti di 7 miliardi l’anno, allineandoci agli altri paesi europei». Un fondo quasi pari al finanziamento del «reddito» per un anno.

SONO POCHE, e contestate, le altre misure previste dalla manovra sulla scuola. Sarà rimodulato il sistema di accesso all’insegnamento: basterà la laurea, 24 crediti in materie pedagogiche, due scritti e un orale, oltre che un anno di prova. Decisione che porterà il prossimo 7 novembre alla mobilitazione dei docenti che hanno già acquisito i 24 crediti e ora si trovano in un’incertezza tremenda, dopo anni di precariato. La protesta è stata convocata in tutto il paese dalla Flc Cgil, dai dottorandi dell’Adi e dagli studenti di Link.

ALTRO CAPITOLO contestato è il ridimensionamento dell’alternanza scuola-lavoro (nelle ore e nei fondi) e un cambio di nome in «percorsi per le competenze trasversali», e la sospensione di un anno per la sua validità per l’accesso alla maturità. Un cambio di facciata, ma non di contenuto che, al momento, resta quello della «Buona Scuola» di Renzi.