Stamattina alcuni ufficiali giudiziari a Roma hanno messo i sigilli al Nuovo cinema Palazzo e hanno sequestrato l’immobile, provando a mettere in atto uno sgombero annunciato da mesi. Dopo poco gli occupanti sono comunque rientrati.

E hanno deciso di difendere questa occupazione che dura dal 2011 e che ha trasformato quello che doveva essere un Bingo in uno dei luoghi più interessanti per la vita culturale e artistica della Capitale.

Si potrebbe ora scrivere l’ennesimo elenco delle iniziative, illustrare la visione politica che si è generata al Nuovo cinema Palazzo in questi otto anni, ma sarebbe l’ennesimo regalo a chi vorrebbe che questo posto morisse, un “perle ai porci” da parte di chi questo posto l’ha curato, animato e anche raccontato. Se volevate sapere cosa accadeva, viene da dire, potevate venire, potevate leggerne, potreste ora liquidare il vostro pregiudizio e accorrere a presidiare questo posto che è anche ovviamente vostro; le ragioni della bellezza, dell’invenzione, della felicità pubblica, a un certo punto non ha più senso giustificarle.

Ma c’è un’altra storia che va invece raccontata, ed è la storia di quello che non avete fatto voi. Voi, che difendete la proprietà degli spazi, che invocate la sicurezza, che applaudite agli sgomberi, che preferite un supermercato a un’occupazione abitativa. Questa storia la conosco perché c’ero sempre quando è avvenuta a Roma. C’ero nel 1995 quando la città è stata militarizzata per sgomberare la Torre a viale Rousseau, nel 2004 quando è stato sgomberato l’ex cinema a viale Jonio, nel 2006 quando è stato sgomberato l’Angelo Mai a Monti, c’ero nel 2009 quando hanno sgomberato l’Horus, nel 2014 quando sono stati sgomberati il Teatro Valle e il cinema Volturno, nel 2015 quando sono stati sgomberati il cinema Preneste, lo Scup a via Nola, il centro Baobab a via Cupa e il Rialto a via Sant’Ambrogio, nel 2017 quando è stato sgomberato il palazzo di via Curtatone vicino piazza Indipendenza, qualche mese fa quando hanno sgomberato lo stabile di via Cardinale Capranica.

Polizia, sigilli, minacce, cariche, ne ho viste tante. Qualche volta sono stato fermato, qualche volta ho preso delle manganellate, qualche volta ho assistito attonito alla brutalità delle forze dell’ordine, qualche volta sono rimasto lì davanti ai sigilli, o alla distruzione dello sgombero a fare un’assemblea che è durata giorni, qualche volta sono stato a fare delle inutili – e snervanti – interlocuzioni con le istituzioni di turno.

Quale è la storia comune di questi spazi? Non quello che c’era prima, che in ogni luogo era differente: una palestra popolare, un’occupazione abitativa, un centro culturale; ma quello che (non) c’è stato dopo. Questi spazi, tutti, sono stati disabitati, chiusi, desertificati, riattati e abbandonati, sigillati e lasciati a sé stessi. Tutti sono stati tolti alla loro funzione sociale. Questo è ciò che avete fatto voi: perché io me li ricordo ogni volta gli articoli che si sono infiammati contro l’illecita occupazione. Adesso che quegli spazi sono chiusi da anni, che non avete avuto né idee né voglia di provare a farci qualcosa, non sentite la responsabilità di quegli applausi alla repressione? Il cinema Astra ora è pericolante, l’Horus è ridotto a un disastro, il Volturno è meno che un garage inservibile, la Torre è stata ristrutturata dopo vent’anni e soltanto ora sta cominciando a essere utilizzata per alcune iniziative culturali. Nelle eccezioni, la brutalità del recupero è sfacciata: nel palazzo occupato dove c’erano mille persone, molti rifugiati, a via Curtatone, aprirà fra poco una palestra della Virgin.

La ragione per cui insomma ogni volta si decide di sgomberare questi spazi – restituirli all’uso privato o pubblico, sottrarli all’arbitrio degli occupanti – è un’evidente falsità. L’obiettivo che si vuole raggiungere non è il ripristino della legalità, ma la repressione di ogni forma di autorganizzazione. Ed è questa la morale più triste. Perché immaginiamoci cosa poteva essere questa città senza gli sgomberi; immaginiamoci generazioni di ragazzi che avrebbero potuto fare sport a prezzi accessibili, vedere un film o un concerto scendendo a piedi da casa, cominciare a fare politica partecipando a un incontro.

C’è un’intera città potenziale che è stata rasa al suolo, sterminata una determinazione non soltanto miope ma stolida: stagioni teatrali, orchestre popolari, relazioni sociali che potevano esistere e non ci sono state. Lo stato calamitoso della città – quello che lamentate tutti i giorni nei vostri post su Facebook, nelle chiacchiere in ufficio, è anche colpa vostra; ora potete voltare la faccia dall’altra parte, o cambiare idea, e venire alle assemblee che ci saranno in questi giorni.