Bozza su bozza, modifica su modifica il capitolo «pensioni» della legge di Bilancio rimane sempre il più caldo. Politicamente e per risorse in ballo.

La tela di Penelope di Giancarlo Giorgetti si fa e si disfa sempre nello stesso modo: la volontà è risparmiare e il titolare del Mef si inventa di tutto per poterlo fare, poi però viene puntualmente bacchettato dal suo partito ed è costretto a fare marcia indietro sostenendo che «le bozze non definitive e non attendibili». Nonostante il suo segretario e vicepremier Matteo Salvini sostenga invece che «il testo sia stato chiuso».

Per chi aveva promesso di «abolire la Fornero» e fissato come «obiettivo di legislatura Quota 41» – in pensione con 41 anni di contributi a prescindere dall’età – sono almeno due manovra che le cose vanno male. Senza dimenticare i flop dei vari Quota 100, 101 e 103 degli scorsi anni che portano la firma di Claudio Durigon.

Ecco dunque che ogni giorno porta in dono le sue novità e cancellature in attesa dell’invio definitivo del testo al Parlamento con almeno 11 giorni di ritardo.

Nell’ultima bozza il capitolo pensioni copre ben cinque articoli: dal 26 al 30. E contiene molte novità rispetto alla versione precedente.

Il vero colpo di mano riguarda il taglio alle future pensioni di medici, maestre d’asilo e scuole primarie parificate e dipendenti degli enti locali. Evidentemente ritenuti dal governo dei privilegiati anche per lo stanziamento per il rinnovo dei loro contratti. Giorgetti e Meloni hanno deciso di modificare la tabella delle aliquote di rendimento delle gestioni previdenziali che risale al 1965. Per chi lascia il lavoro con una quota di pensione retributiva inferiore a 15 anni – cioè i dipendenti che hanno iniziato a lavorare tra il 1981 e il 1995 – questa parte dell’assegno sarà rivalutata meno della metà: dall’attuale 0,24 al misero 0,1 con un taglio complessivo stimato nel 25%.

Un colpo di mano che provoca lo «sdegno» del sindacato dei medici dirigenti Anaao-Assomed per il «gravissimo ridimensionamento della quota retributiva che sottrae migliaia di euro alle future pensioni dei camici bianchi». Una norma che potrebbe causare «una fuga» da qui a dicembre «per quanti hanno maturato diritto a pensione, svuotando di specialisti il Sistema sanitario nazionale».

Solo nominalmente poi da «quota 104» si torna alla «quota 103» del governo Draghi anche se i paletti aggiunti la rendono molto simile a «quota 104»: La prima, è che il trattamento sarà calcolato esclusivamente con il sistema contributivo fino a quando non si raggiungono i requisiti per la pensione di vecchiaia e comunque non potrà essere superiore a quattro volte il trattamento minimo (circa 2.240 euro lordi al mese). La seconda riguarda invece la finestra di uscita per i lavoratori del settore privato, che sale a 7 mesi rispetto ai 6 fissati nelle precedenti versioni (mentre rimane a 9 mesi quella per i dipendenti della Pa).

Si tratta comunque di una marcia indietro che ha costi. E che vengono pagati dai pensionati con assegni poco superiori ai 2.500 lordi, pari a 1.700 netti: la cosiddetta «seconda fascia» con importi fino a cinque volte il trattamento minimo Inps. Per loro nella bozza precedente della legge di Bilancio la rivalutazione – il recupero dell’inflazione – si alzava dall’attuale 85% al 90%: ora torna all’85%, nonostante le promesse della stessa Giorgia Meloni alla Cisl di Sbarra, unico sindacato che ancora dà credito alla manovra «con molte luci» sebbene ieri abbia chiesto al governo «di migliorare le misure annunciate in queste ore con le ultime bozze per assicurare proprio «la piena indicizzazione delle pensioni».

Torna poi – dopo essere sparita dalle ultime bozze – anche la norma sull’adeguamento all’aspettativa di vita, perno centrale su cui ruotava la riforma Fornero che la Lega voleva cancellare. Ecco dunque che si riporta al 31 dicembre 2024, due anni prima del precedente termine fissato al 31 dicembre 2026, il periodo in cui non sono previsti adeguamenti alla speranza di vita in relazione alla pensione anticipata: significa che gli attuali 42 anni e 10 mesi attuali (uno in meno per le donne) dal 2025 oltrepasseranno la soglia dei 43 anni. Tocca ripetersi ma è così: altro che Quota 41.