Dopo oltre un anno di detenzione, l’eroe di «Hotel Ruanda«, Paul Rusesabagina, è stato giudicato colpevole di terrorismo dalla Corte Suprema di Kigali e condannato a 25 anni di reclusione. La sentenza, che condanna altri venti imputati per reati simili, ha riconosciuto nove capi d’accusa tra cui omicidio, rapina a mano armata, reclutamento di bambini-soldato, rapimento e finanziamento di un’organizzazione terroristica.

«Facevano parte di un gruppo terroristico e commettevano atti di terrorismo di cui poi si vantavano in diversi annunci e video» ha dichiarato alla fine del processo il giudice Beatrice Mukamurenzi.

Rusesabagina, 67 anni, famoso in tutto il mondo per aver salvato oltre mille tutsi dal genocidio del 1994 nascondendoli nell’hotel che dirigeva, è stato riconosciuto come uno dei promotori del Fronte di liberazione nazionale, il braccio armato del Movimento ruandese per il cambiamento democratico, di cui è co-fondatore, e che negli ultimi anni ha rivendicato vari attentati, tra cui un attacco del dicembre 2018 a un pullman di civili costato la vita a due persone presso la foresta di Nyungwe, al confine con il Burundi.

I giudici hanno accettato le prove di un versamento di 20 mila euro a favore del FLN, che Rusesabagina avrebbe effettuato per finanziare la lotta armata e le testimonianze che proverebbero il suo coinvolgimento con i gruppi armati in territorio congolese. Tra questi gruppi figurano anche le Forze democratiche per la liberazione del Ruanda, salite alla ribalta per il possibile coinvolgimento nell’attentato all’ambasciatore italiano in Congo, Luca Attanasio, ma da subito dichiaratesi estranee ai fatti.

Da tempo residente negli Usa, seppure cittadino belga, lo «Schindler nero», come lo definiscono in molti, era stato arrestato lo scorso agosto in circostanze misteriose dai servizi segreti ruandesi durante uno scalo aereo a Dubai (una trappola, secondo i familiari).

Da febbraio era alla sbarra degli imputati e quasi subito aveva deciso di boicottare le sedute di un processo che considerava arbitrario e illegale.
La famiglia in un’intervista a Abc News si è detta «felice che questa farsa sia finalmente finita. Più e più volte abbiamo ribadito al mondo che in Ruanda non c’è nessun processo equo e gli ultimi mesi lo hanno dimostrato. Non c’è una magistratura indipendente e non ci sarà giustizia per nostro padre. Tutto ciò che possiamo fare ora è rendere chiaro a tutti cosa sta accadendo: un dittatore incarcererà un filantropo».